Anarres-info. Per un Primo Maggio di solidarietà e lotta



Anarres-info. Per un Primo Maggio di solidarietà e lotta

Torino. Spezzone rosso e nero al corteo del Primo Maggio, aperto dallo striscione “Azione diretta autogestione”. 
Appuntamento alle 8,30 in piazza Vittorio quasi all’angolo con via Po.

Dopo il corteo pranzo e festa alla FAI in corso Palermo 46.  
Il pranzo è benefit per i compagni vittime della repressione.  
Chi non può o può solo poco è ugualmente il benvenuto.  
Se possibile prenotatevi, scrivendo a fai_to at inventati.org oppure chiamate 338 6594361 
 
La crisi morde sempre più forte, specie nelle nostre periferie, dove solo le pratiche di autogestione, riappropriazione e solidarietà pongono un argine alla guerra contro i poveri che i governi di centro sinistra e quelli di centro destra hanno promosso negli ultimi vent’anni.
La nascita dell’esecutivo guidato da Enrico Letta è l’ultima tappa di un lungo processo di ridefinizione dei partiti istituzionali intorno a blocchi di interessi, che, alla bisogna, possono trovare spazio per una convergenza.
L’affermarsi di una democrazia autoritaria è il necessario corollario a politiche di demolizione di ogni forma di tutela sociale, che disegnano l’attuale condizione delle classi oppresse. Se i meccanismi violenti della governance mondiale impongono di radere al suolo ogni copertura economica e normativa per chi lavora, la parola passa al manganello, alla polizia, alla magistratura. Se la guerra è l’orizzonte normale per le truppe dei mercenari tricolori presenti in armi in Afganistan come in Val Susa, la repressione verso chi si ribella non può che incrudirsi.
Le esperienze più interessanti di questi anni sono quelle che hanno saputo coniugare autogestione e conflitto, individuando nell’esodo conflittuale un modo per costruire lottando e lottare costruendo. In una tensione che non si allenta ogni TAZ, ogni zona liberata, è una base per incursioni all’esterno. Parimenti ogni momento di conflitto riesce ad oltrepassare la mera dimensione resistenziale quando si innesta in pratiche di riappropriazione diretta di spazi politici e sociali.
La crisi della politica di Palazzo ci offre una possibilità inedita di sperimentazione sociale di forme di autogoverno territoriale che si emancipi dai percorsi istituzionali.
Gli esiti delle recenti elezioni hanno dimostrato la plasticità di una classe politica che ha saputo uscire dall’impasse dei numeri, mettendo nell’angolo le opposizioni.
Un’ulteriore dimostrazione che chi vuole aprire il parlamento come un scatola di sardine lo può fare meglio standosene fuori, che prendendo posto accanto agli altri pesci sott’olio.
In questo Primo Maggio c’é chi è obbligato a lavorare per contratto, in questo primo maggio ci sono case vuote e gente in strada, in questo primo maggio c’è chi lavora troppo per molto poco e chi non lavora affatto, in questo primo maggio truppe tricolori uccidono e occupano in Afganistan.
In questo primo maggio c’è chi ricorda le lotte durissime degli operai di Chicago che nel lontano 1886 lottavano per le otto ore.
Cinque di loro vennero impiccati per stroncare quella lotta. Ma i padroni e i governanti dovettero pentirsene, perché la loro morte accese fuochi in ogni dove. Quei fuochi ardono ancora.
Continua…
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Lo strano connubio. Della destra sociale che occupa le case solo per gli italiani
Alla vigilia del 25 aprile un gruppo di militanti della Giovane Italia hanno sostenuto attivamente  l’occupazione abitativa di una decina di senzatetto italiani. È la prima occupazione di questo tipo a Torino.
Quelli della Giovane Italia si erano distinti per una campagna razzista in Barriera di Milano. In occasione delle elezioni avevano aperto un ufficio di fronte ai giardinetti di via Montanaro, un’area densamente abitata da immigrati. La loro iniziativa principale fu una raccolta firme per dare “la casa agli italiani”. Tra il 25 aprile e il 2 maggio del 2011 trovarono sulla loro strada un po’ di anarchici decisi a contrastare l’ennesimo tentativo di soffiare sul fuoco della guerra tra poveri.
Il loro tentativo di penetrare tra gli strati più poveri di Barriera di Milano fallì miseramente.
Di qui probabilmente la scelta di muoversi tra dormitori e gente dei cartoni, per assemblare la truppa per la loro iniziativa.

Sin qui la cronaca. Sul piano dell’analisi politica e sociale resta aperta la questione della costruzione di legami solidali tra italiani ed immigrati, che facciano da argine alle iniziative della destra sociale.
Significativa e certo non casuale la scelta di far partire l’occupazione a ridosso del 25 aprile.

Nell’affrontare la questione ci è parso utile ricostruire la lunga storia della destra sociale e del suo sdoganamento da parte del Partito Comunista.
Il revisionismo storico, che ha condotto ad una sorta di equiparazione tra i partigiani e i torturatori ed assassini della Repubblica di Salò, ha radici molto profonde e lontane.
Significativo che parte della sinistra istituzionale sia stata tra i protagonisti di quest’operazione.

Alle radici di questa rilettura della dittatura fascista e degli anni della guerra e dell’occupazione tedesca dell’Italia è il mancato riconoscimento collettivo dei crimini del fascismo, troppo spesso opposto al nazismo, tramite una grande operazione di negazione della ferocia del colonialismo italiano in Libia come nel corno d’Africa, del totale misconoscimento degli inenarrabili orrori che hanno segnato l’occupazione italiana della Jugoslavia e della Grecia, della crudezza del regime verso gli oppositori politici.
Una rimozione collettiva retta da un mito tanto tenace quanto falso, quello degli “italiani brava gente”. Sempre innocenti, anche nello scontro feroce della guerra civile. Tutti uguali, partigiani e repubblichini, divisi negli “ideali”, ma tutti bravi ragazzi.
Chi si è schierato con la dittatura e chi ha lottato per liberarsene viene rappresentato allo stesso modo: vittima della guerra e della sua follia. Una lunga notte dove i colori scompaiono: restano solo ombre indistinguibili.
Sin dal dopoguerra il quadro delle alleanze internazionali e la real politik di Togliatti impedì una defascistizzazione reale. L’amnistia che liberò i fascisti, compresi quelli che si erano macchiati di torture e crimini, mise una pietra tombale su ogni possibilità di fare i conti con la realtà della dittatura.
Il flirt tra esponenti del Partito Comunista Italiano e i ragazzi si Salò é testimoniato dagli scritti di Giancarlo Pajetta, che nel 1945 sosteneva dalle pagine de L’Unità che era giunto il momento di «riconquistare alla patria quei giovani disorientati e delusi dal regime»; ancora più esplicito, Ugo Pecchioli parlò di «necessaria chiarificazione con i coetanei che avevano scelto la Rsi perché frastornati dalla propaganda»; lo stesso Ingrao affermava su Pattuglia, rivista della Fgci, di non ritenere più utile guardare al passato degli ex fascisti, essendo molto meglio «guardare all’ oggi».

Se si pensa che queste posizioni vennero sostenute a pochi mesi dall’insurrezione popolare del 25 aprile, a pochi mesi dalla chiusura dei luoghi di tortura dove i partigiani venivano fatti a pezzi dai repubblichini, si può comprendere come alcuni decenni dopo Luciano Violente, neoeletto presidente della Camera dei deputati, potesse pronunciare un discorso all’insegna della pacificazione nazionale.
Quel che colpisce oggi chi affronta quelle lontane vicende è la genesi di un percorso che affonda le proprie radici già nel pieno del fascismo. Sono del 1936 – è appena iniziata la rivoluzione in Spagna, l’Italia sta conquistando nel sangue e negli orrori, il proprio impero nel Corno d’Africa – gli scritti di Togliatti dal dorato esilio sovietico. Nella rivista «Lo Stato operaio» comparve un editoriale intitolato «Largo ai giovani» (slogan fascista), dove i comunisti salutavano nei giovani littori un certo «anticapitalismo, per quanto vago e contraddittorio», segno di una nuova coscienza che andava maturando nella società italiana. Un mese dopo, nell’ agosto 1936, sullo stesso foglio Togliatti lanciava esplicitamente un appello ai «fratelli in camicia nera», intitolato «Per la salvezza dell’Italia riconciliazione del popolo italiano!».
Togliatti si rivolgeva anche ai lavoratori cattolici e a tutte le forze liberali e democratiche, richiamandosi al Risorgimento e trasferendo il mito nazionale nel corpus ideologico del partito.

Come sarebbe apparso ancora più evidente dopo la guerra nel dialogo con i «fascisti di sinistra» e gli ex repubblichini, il discorso ruotava attorno alle idee di patria e di nazione, ben lungi dalla tradizione leninista. Ma proprio qui sta la chiave per capire lo scopo della nuova strategia.
Assumendo la difesa aperta dei valori patriottici, Togliatti mirava a trasformare il vecchio partito d’avanguardia, internazionalista, classista e tutto sommato elitario, in un partito di massa, capace di ricongiungersi alla specifica tradizione nazionale, recuperando le masse fasciste e immaginando alleanze sempre più ampie.
Una scelta che ben si incuneava con l’accettazione acritica della spartizione delle zone di influenza decisa a Yalta. I primi passi verso la costituzione di un partito nazional popolare, che finita l’epoca delle «ideologie» si unirà con gli eredi della Democrazia Cristiana. Oggi, con la nascita del governo Letta, cala una notte dove tutto trascolora e nulla ha più identità, se non quella, in fondo sempre uguale, segnata dal gioco del potere. A tutti i costi.
Continua…

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Bruciano i rifiuti e le nostre vite
Lo hanno fatto partire di nascosto. Volevano, l’hanno detto chiaro, evitare guai con chi non era d’accordo che una mostruosa macchina spara diossina entrasse in funzione al Gerbido, a due passi da Mirafiori, Grugliasco, Beinasco.
Così venerdì scorso, senza nessun annuncio ufficiale, è partito l’inceneritore di Torino. Un’altra follia ai danni della nostra salute, utile solo ad ingrassare gli interessi di chi lucra sulla costruzione e gestione di questi impianti di morte. Il giocattolone entrato in funzione al Gerbido, pudicamente chiamato “termovalorizzatore”, ci è costato 375 milioni di euro. Continua…

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25 aprile in Barriera di Milano

Anche quest’anno ci siamo ritrovati alla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni, operaio delle Ferriere morto combattendo il 26 aprile 1946.
Tobia ha ricostruito quegli ultimi giorni della Resistenza a Torino, tra fabbriche e tedeschi in rotta, tra operai che le difendevano perché pensavano fosse giunto il tempo di riprendere nelle mani il sogno spezzato negli anni Venti, quando i riformisti imposero l’abbandono delle occupazioni e la rinuncia a “dare il giro” ad una storia già scritta. Le vendetta dei padroni, come temeva a ragione Errico Malatesta, fu terribile. Vent’anni di dittatura.
Tra gli operai delle periferie torinese il sogno non si spense mai del tutto. Tanti finirono in galera, al confino o furono costretti all’esilio, altri riuscirono a tessere i fili di una tela sottile ma tenace. A Torino negli anni Trenta c’erano tre gruppi anarchici clandestini, uno di questi era in Barriera.
Nell’aprile del ’45 le fabbriche pensavano di riprendersele, di afferrare con mani salde il sogno fuggito oltre vent’anni prima. I militari statunitensi lo capirono e bloccarono la discesa su Torino delle formazioni partigiane delle montagne.
Gli operai della zona nord della città dovettero vedersela da soli. A Torino si combatté sino al 28 aprile. Ogni angolo delle periferie torinesi è costellato di lapidi che ricordano quelli che morirono in quei giorni di primavera. Una primavera che sfiorì presto.
Le fabbriche rimasero nella mani dei padroni. I fascisti vennero amnistiati da Togliatti. Nel 1969, quando gli anarchici vennero accusati della strage di Stato e Giuseppe Pinelli venne scaraventato dalla finestra della questura milanese dopo un brutale interrogatorio, a capo di quella questura era l’ex comandante del confino di Ventotene. I partigiani che non smisero di combattere dopi i giorni dell’insurrezione, vennero imprigionati per decenni. Alcuni uscirono, anziani ma non domi, solo alla fine degli anni Settanta, quando Sandro Pertini li graziò.
Continua…

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Tutti gli uomini del presidente

Dall’implosione del PD alla rielezione di Giorgio Napolitano sino alla designazione di Enrico Letta.

Le analisi di Marco Revelli, Francesco Carlizza e – sui risultati delle elezioni in Friuli – Federico Denitto. Leggi e ascolta qui

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Bombe atomiche miliardi e F35

Dagli Usa arriva un apparente voltafaccia rispetto agli impegni di Barack Obama verso il disarmo nucleare. Il Pentagono si appresta infatti a spendere 11 miliardi di dollari per ammodernare 200 ordigni nucleari tattici B61 allocati in Europa per trasformarli in “bombe atomiche intelligenti (teleguidate)” sganciabili dal caccia di ultima generazione F-35, di cui si doterà anche l’Italia. E’ quanto rivela il britannico Guardian.

Niente di nuovo all’orizzonte: era noto che gli F35 erano destinati ad essere dotati sia di armamento convenzionale sia di ordigni atomici. La novità è la decisione del governo statunitense di stanziare i fondi necessari all’operazione.
Un’operazione sporca, perché in questo modo l’amministrazione statunitense riesce a dotarsi di armi moderne, aggirando l’accordo sulla non proliferazione nucleare.
In Italia ci sono 70 bombe nelle due basi di Ghedi e Aviano.
Continua…

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Il CIE nella movida
Sabato 20 aprile. Pioggia e temporali concedono una breve tregua. Ci ritroviamo sotto la tettoia di piazza Madama, perché fuori ancora goccia e non è il caso di rischiare largo Saluzzo.
Un po’ di cose buone da mangiare e poi parte l’assemblea. Ci sono Gilberto e Caterina, un medico e un infermiera della microclinica Fatih, l’ambulatorio di via Revello dove non chiedono i documenti a chi sta male. C’è Stefania Gatti, una procuratrice legale che ci racconta il CIE di corso Brunelleschi, la gente che si taglia, non mangia, fa lo sciopero della fame. Poi ci sono alcuni degli antirazzisti che sono sotto processo per essersi messi di mezzo, per aver cercato di contrastare la militarizzazione delle strade, lo sgombero degli abusivi di Porta Palazzo, per aver solidarizzato con le famiglie rom che si erano prese una casa vuota, lasciandosi alle spalle le baracche nel fango del lungo Stura. Si discute, si confrontano le esperienze, si costruiscono relazioni.
Poi si va.
In giro per le strade della movida di San Salvario, tra la gente che affolla i tanti locali della zona.
In testa la samba, poi la gabbia CIE, e noi tutti. In tutto un centinaio di persone.
Siamo qui per portare il CIE in mezzo alla città, per raccontare la storia di Fatih, morto nel CIE di Torino, tra le grida disperate dei suoi compagni che chiesero inutilmente aiuto.
Continua…

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Gli anarchici, la resistenza, il revisionismo
(…) Con Roberto Prato abbiamo sfogliato le pagine della resistenza a Torino, quando Ilio Baroni, operaio toscano emigrato a Torino negli anni venti, era comandante della VII brigata Sap delle Ferriere. (…)
Il 25 aprile a Torino la città è paralizzata dallo sciopero generale, scoppia l’insurrezione, la città diventa a breve un campo di battaglia.
Baroni e i suoi attaccano la stazione Dora e si guadagnano un successo, ma giunge una richiesta d’aiuto dalla Grandi Motori. Il Moro non esita ad aiutare i compagni nel mezzo di una battaglia furiosa, e cade sotto il fuoco tedesco. (…)Ilio Baroni non potrà vedere il momento per cui ha lottato duramente tutta la vita…

Degli anarchici italiani nella resistenza abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia all’università di Trieste.
Con Claudio abbiamo affrontato anche il tema del revisionismo, che negli ultimi anni ha portato addirittura ad una sorta di equiparazione tra partigiani e i torturatori ed assassini della Repubblica di Salò.
Continua…

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Lotte nella sanità tra Torino e Milano

Ancora repressione contro i lavoratori del S. Raffaele. Venerdì la polizia ha nuovamente caricato dentro l’ospedale, dove la lotta era partita il lunedì precedente, all’arrivo delle prime lettere di licenziamento, per eliminare gli esuberi.(…)

A Torino lo sciopero regionale si è svolto il 18 aprile. Indetto sia dai confederali sia da parte del sindacalismo di base, aveva scopi e piattaforme diversi. Anche il corteo che è partito da Porta Susa, si è diviso lungo il percorso. Mentre CGIL, CISL e UIL hanno raggiunto direttamente il palazzo della Regione in Piazza Castello, il corteo animato da un ampio cartello di settori politici e sociali è passato dal comune, per manifestare contro i tagli e i licenziamenti nel settore dell’assistenza attuati dalla giunta Fassino, prima di convergere in piazza Castello, dove stava terminando la manifestazione di CGIL, CISL e UIL. (…)
Continua…

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CIE. Laboratorio disciplinare
La situazione nel CIE sta mutando.
Dopo la lunga stagione di lotte culminata con la distruzione pressoché totale del CIE di Gradisca nel dicembre del 2011, le politiche verso i CIE sono lentamente cambiate. I Centri sono ancora la punta dell’iceberg legislativo costruito per mantenere sotto costante ricatto gli immigrati nel nostro paese, tuttavia rappresentano sempre di più un problema sia economico che di immagine per i governi di turno.
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Da Torino a Istanbul. Solidarietà senza confini
Mercoledì 17 aprile. Via Roma con la sua architettura anni ’30 e le sue boutique di lusso è blindata dalla polizia. Due camionette riversano il loro contenuto di uomini dell’antisommossa che si uniscono ai dieci della squadra politica per dare un segnale chiaro agli anarchici che hanno organizzato un presidio di solidarietà con i lavoratori che in Turchia cuciono il 65% delle camicie che vengono vendute con il marchio Ermenegildo Zegna.
Lo stabilimento in cui lavorano è gestito da Francesco Lasorte, un manager italiano che lavora per conto di Zegna.
Ognuna della camicie di Zegna, esposte nella vetrina della boutique Scotland, che alla ditta biellese dedica due vetrine, costano 155 euro l’una. I lavoratori che le cuciono quei soldi li guadagnano in un mese.
Chi ha provato ad aprire una vertenza su salario e orario di lavoro, costituendo un sindacato, è stato licenziato e resiste fuori dai cancelli della fabbrica da oltre quattro mesi.
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Thatcher o del capitalismo trionfante
Il fusto di cannone, gli onori militari, la sfilata davanti alla regina. Come Winston Churchill, come Wellington. Alla notizia della morte hanno fatto festa nei sobborghi operai inglesi, hanno brindato i vecchi sindacalisti cui Maggie ha spezzato la schiena, i ragazzi delle periferie e i nazionalisti irlandesi.
Hanno brindato alla notizia che “Catlina”, come la chiamano i piemontesi, non si era dimenticata di bussare alla porta del primo ministro che aveva cambiato – in peggio – la vita degli inglesi.
Ma non solo. Thatcher è divenuta l’icona di un’epoca, quella del regolamento di conti con le classi lavoratrici. Quelle inglesi e, poi, a ruota, quelle dell’intera Europa.
Lacrime e sangue e giù la testa.
Il mondo in cui viviamo lo hanno disegnato quelli come lei.
Ma tutto quanto non sarebbe avvenuto se l’orizzonte del capitalismo non fosse divenuto il solo possibile, il solo pensabile, il solo desiderabile. Se la prospettiva di un tempo altro non fosse tramontata nell’immaginario sociale.
Forse è da qui che occorre ripartire, perché i conflitti di oggi superino la dimensione tristemente resistenziale per impastarsi di una pratica che nel conflitto costruisce, nel fare lotta.
Continua…

Da Tunisi a Sidi Bouzid
I media hanno dato grande risalto al Word Social Forum di Tunisi. Un’occasione per attraversare dall’interno le tante anime della primavera tunisina in un momento cruciale per il paese.
Ma, in fondo, anche uno specchio deformante rispetto alla realtà sociale di un paese messo in ginocchio dalla crisi economica, spaccato in due dalla contrapposizione tra Hennada e formazioni laiche, dove qua e là fa capolino la nostalgia per un regime duro ma stabile.
Karim Metref, scrittore, insegnante, blogger kabilo che vive da molti anni nel nostro paese non si è limitato al WSF tunisino ma ha fatto un viaggio nella Tunisia profonda, nel sud che i turisti delle spiagge del nord non vedono mai.
Ha fatto tappa anche là dove tutto era cominciato, a Sidi Bouzid, dove il giovane Mohamed Bouazizi si diede fuoco. Da quel rogo si scatenò il fuoco della protesta che portò alla caduta del dittatore Ben Alì. Continua…

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San Raffaele. Blocchi e cariche
La lunga vertenza dei lavoratori del San Raffaele di Milano è giunta ad una svolta. La nuova proprietà, subentrata nel grande ospedale dopo la gestione all’insegna del malaffare che aveva aperto un buco di un miliardo e mezzo di euro, è decisa a far pagare il prezzo ai lavoratori.
Sin dallo scorso anno vennero annunciati circa 400 esuberi. In realtà al San Raffaele ci sarebbe bisogno di nuove assunzione, poiché amministrativi, infermieri e medici lavorano al di sotto dell’organico.
La lunga trattativa si è conclusa con un ricatto: significative e durature riduzioni di salario in cambio della rinuncia ai 244 licenziamenti annunciati un paio di mesi fa.
I lavoratori, respingendo al mittente una proposta appoggiata da CGIL CISL e UIL, hanno optato per la lotta, opponendosi sia ai licenziamenti sia alle riduzioni di salario.
Lunedì scorso sono arrivate le prime lettere di licenziamento. La risposta è stata immediata: l’assemblea non autorizzata di circa 500 lavoratori ha deciso il blocco delle accettazioni.
Niente ticket per i malati ma accesso diretto alle visite ed agli esami.
Continua…
Aggiornamenti del 17 aprile
Aggiornamenti del 24 aprile

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No Tav. Un alterco con un poliziotto spione? E’ rapina aggravata!
Martedì 16 aprile. 4 solerti poliziotti sono andati a dare la sveglia ad Andrea di Vaie e attivista del locale comitato No Tav. Perquisizione in casa e in macchina, sequestro di  telefono, agende, computer e notifica di obbligo di firma giornaliero alla stazione dei cc di Borgone.

Cinque mesi prima – era il 16 novembre - Andrea era stato fermato durante un blocco ai cancelli di Chiomonte e aveva trascorso l’intera giornata in stato di fermo. Continua…

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Fughe e rivolte al CIE di Modena
La scintilla della rivolta è scattata domenica 7 aprile. Un ragazzo diabetico  è stato preso, identificato come clandestino e internato nel CIE.
Un sopruso intollerabile al quele molti prigionieri hanno reagito con forza.
Le prime proteste sono scoppiate nel cortile. Poi molti immigrati a sono saliti sui tetti continuando a gran voce a chiedere la liberazione del ragazzo malato. Le prime cariche non sono bastate a reprimere la rivolta, tanto che le guardie hanno chiesto l’intervento di rinforzi dall’esterno.
Sono entrati in azione di militari dell’esercito, della finanza e i carabinieri in assetto antisommossa: molti detenuti sono stati feriti.
Continua…

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I carabinieri, i profughi e la democrazia
In Libia non c’era la libertà ma avevamo un lavoro, qui c’è la libertà ma niente lavoro”. Queste le parole di un giovane profugo, durante il corteo di ieri dei profughi dell’ex villaggio olimpico. Di lì ad un paio d’ore avrebbe appreso quanto agre fosse il sapore della libertà nel nostro paese.
Quel ragazzo è uno dei tanti rimasti in strada dopo la fine dell’emergenza nord africa, sancita con decreto ministeriale lo scorso 28 febbraio.
Continua…

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B&B. Il gatto la volpe e il grillo parlante
Una riflessione sulle convulsioni della politica durante le trattative fallite tra PD e M5S.
Ascolta l’intervista a Massimo Varengo realizzata dall’informazione di Blackout

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Meno soldi, meno lavoro, meno vita
I dati fotografati dall’Istat ci consegnano un paese, sempre più piegato dalla crisi. Nell’ultimo anno è stato perso il 4,8% della capacità di spesa. Il dato peggiore dal 1995.
Sempre ieri sono stati diffusi i dati sulla netta riduzione dei dipendenti pubblici.
Tra il 2006 e il 2011 i dipendenti pubblici sono diminuiti di 230.000 unità (oltre il 6%), passando, compresi i lavoratori flessibili, da 3.627.000 occupati a 3.396.000. Un ulteriore calo dell’1% è stimato per il 2012, anno per il quale non si hanno ancora i dati definitivi.
Al di là delle cifre è chiara l’immagine di un paese impoverito, dove la diminuzione dei dipendenti pubblici riflette i tagli nella sanità, nella scuola, nei trasporti.
Nonostante la durezza della situazione non si innescano conflitti capaci di mettere in difficoltà governo e padroni. La durezza delle cifre e un’attenta analisi dell’anomalia italiana ci conducono nel cuore delle questioni che attraversano i movimenti di opposizione sociale. Continua…

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Appuntamenti

Martedì 30 aprile. Processo agli antifascisti
Continua il processo a quattro antifascisti accusati di furto aggravato per aver strappato manifesti inneggianti alla marcia su Roma.

Nonostante nelle udienze precedenti gli stessi testimoni dell'accusa avessero negato il furto, il giudice ha deciso di continuare il processo anziché prosciogliere i quattro compagni, rinviando gli atti alla procura.
La prossima udienza sarà martedì 30 aprile allo ore 12,30 in aula 55.

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Primo Maggio

Torino. Spezzone rosso e nero al corteo del Primo Maggio, aperto dallo striscione “Azione diretta autogestione”.
Appuntamento alle 8,30 in piazza Vittorio quasi all’angolo con via Po.
Dopo il corteo pranzo e festa alla FAI in corso Palermo 46.
Il pranzo è benefit per i compagni vittime della repressione.
Chi non può o può solo poco è ugualmente il benvenuto.
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Appuntamenti fissi

Ogni lunedì – ore 21 – incontro degli “Antirazzisti contro la repressione. Ti ricordi di Fathi?” presso la sede della fat in corso Palermo 46

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Ogni martedì riunione del collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni” ore 21 in corso Palermo 46. Il numero contro gli abusi psichiatrici funziona tutti i giorni con segreteria telefonica. Il martedì – dalle 19 alle 21 - rispondiamo direttamente.

Segnati il numero e fallo girare. 328 7623642

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Ogni giovedì – ore 21 in corso Palermo 46 - riunione degli anarchici della FAT aperta a tutti gli interessati

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Ogni venerdì – dalle 13 alle 15 – anarres va in onda sui 105,250 delle libere frequenze di radio blackout. Se sei lontano puoi sentire anche in streaming accedendo dal sito della radio
www.radioblackout.org

http://anarresinfo.noblogs.org