Val Susa. Nei boschi dei ribelli



Val Susa. Nei boschi dei ribelli

La lunga resistenza dei No Tav continua. Dopo tre settimane di presidio al
piazzale della Maddalena è diventato un luogo confortevole. Tra la tenda
di “Alpi Libere” dove ad ogni ora si trova un piatto di pasta, una fetta
di toma o un caffé caldo e i tavoli dove si mangia e discute, si raccoglie
un’umanità solidale. Tante volte gli sguardi stropicciati di sonno si
incrociano nelle lunghe notti di veglia, tra il piazzale, la barricata
della centrale e quella dell’autostrada.
In queste settimane la Libera Repubblica della Maddalena è cresciuta: ogni
giorno incontri, film, dibattiti, lezioni di docenti che abbandonano
l’aula per i boschi dei ribelli. Continuo il discutere e confrontarsi su
tutto: dal tubo da saldare per rinforzare le difese alla pasta per i
vegani, dalle strategie di difesa della piccola zona libera dei No Tav,
alla discussione sui prossimi mesi di lotta.
Un lungo chiacchiericcio che è segno di passione politica e sociale, di
abitudine alla partecipazione diretta, alla lotta di lungo periodo.

Proiettili sin troppo intelligenti
Media e politici hanno continuato, giorno dopo giorno, a costruire il
teorema dei No Tav estremisti e violenti, un teorema che desse il via
libera all’azione violenta delle forze del disordine statale.
In prima fila nel chiedere l’invio dell’esercito si è schierata la
maggioranza dei democratici piemontesi. I soliti proiettili in busta
destinati agli onorevoli democratici Esposito e Merlo ha scatenato la
canea contro i No Tav, accusati di essere violenti.
Niente di nuovo a nordovest. Ogni volta che la lotta al Tav è arrivata ad
un punto critico puntuali sono arrivate le buste infarcite di proiettili.
Così puntuali che tra Torino e il Rocciamelone tanti No Tav pensano che
una simile puntualità sia più che sospetta.
In vent’anni di lotta al supertreno la violenza, quella vera, quella di
chi spacca le teste e incendia i presidi l’hanno assaggiata solo i No Tav.
Nel 2005 a Venaus, nel 2010 a Coldimosso quando per un pelo non c’è
scappato il morto, e una donna ha dovuto fare mesi di ospedale per il
pestaggio che le ha spaccato la faccia.

Maroni sotto la Mole
Centro di Torino militarizzato per la visita di Maroni, arrivato in città
mercoledì 8 giugno per il vertice sul Tav in prefettura. Elicotteri,
polizia, carabinieri paralizzano le vie centrali della città. C’é persino
una squadra di artificieri.
Nel frattempo un terzo proiettile è arrivato alla sede del PD, con
tempismo perfetto in contemporanea all’arrivo del Ministro dell’Interno.
La Stampa delira di “escalation di violenza” a proposito di una scritta
comparsa nel paese del segretario democratico Morgando, Borgiallo. Secondo
il quotidiano qualcuno avrebbe scritto “Morgando fascista, no ai militari
in Val di Susa”.
Si sta preparando il clima per un intervento violento delle forze del
(dis)ordine.
Maroni annuncia lo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, ma
non accontenta il PD, che vuole che l’opera sia dichiarata di interesse
strategico. In questo modo, come già in Campania, si darebbe il via libera
all’impiego dell’esercito.
Un fatto è certo. Passati i referendum ogni giorno è buono per l’attacco
alla Maddalena.
Venerdì 10 il procuratore capo in persona firma l’avviso di garanzia per
10 No Tav accusati di aver occupato l’area dell’autoporto di Susa per
impedire uno dei 94 sondaggi in preliminari all’opera. Era il 12 gennaio
del 2010: quella notte attesero l’arrivo delle trivelle circa cinquecento
persone. Nell’avviso Caselli ammette che i dieci indagati erano assieme ad
altri 400 ancora non identificati.
Tra i dieci, il sindaco e il vicesindaco di San Didero, un esponente del
movimento non violento, anarchici di varie tendenze, e qualche
postautonomo.
Un altro tassello nella strategia di criminalizzazione del movimento.
Magari nella speranza di spezzare il fronte No Tav, dividendo tra buoni e
cattivi, mettendo in difficoltà i sindaci PD, già sotto pressione nel loro
partito.
Una strategia che sinora non ha raccolto nessun frutto.

Gli ultimi preparativi
Domenica 12 giugno. Tra un ennesimo acquazzone e un piatto di polenta si
svolge l’assemblea dei comitati. Poche parole. Si moltiplicano i turni di
sorveglianza, ci si scambia consigli su come difendersi da lacrimogeni e
manganellate. Qualcuno ricorda Genova, le botte, la violenza dello stato.
C’è molta calma. La calma serena di chi preferirebbe andare al mare,
dedicare un’ora ai nipoti, farsi una bevuta con gli amici ma sceglie di
farsi un turno di notte alla barricata. In tanti arrivano dopo il lavoro,
di corsa, già stanchi.
Non importa. Tutti sanno che ne vale la pena. Tutti sanno che questi
giorni resteranno sempre nei loro cuori. Il ricordo sarà un retaggio
prezioso di dignità per quelli che verranno.

Maria Matteo

(quest’articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale Umanità Nova)