No Tav. La lunga attesa



No Tav. La lunga attesa

Una lunga attesa. Tante notti ad aspettare l’attacco della polizia alla
Libera Repubblica della Maddalena, tante notti con un occhio aperto e uno
chiuso. Con la paura che prende ed accelera il cuore, qualcuno con il
timore per i propri figli adolescenti spensierati e giocosi tra una
barricata e una partita a carte. Altri pensano all’età non più verde e
agli acciacchi, altri ancora con negli occhi il gusto della sfida con i
potenti che vogliono rubare e devastare. Tutti decisi a resistere. A piè
fermo. Bugianen. Tutti consapevoli dell’importanza di non cedere un
centimetro agli invasori, ben sapendo che la lotta sarà lunga e si
misurerà alla distanza: tenere la Maddalena non è facile per nessuno.
Giorno dopo giorno, la comunità resistente, memore di Venaus, si è
raccolta nei boschi e lungo la strada: brevi assemblee e lunghe giornate
di lavoro, perché tutto fosse a posto, la barricata come la cucina da
campo, il cartello informativo come il comunicato stampa.

Barricate mobili e fandonie della stampa
Dal 24 al 30 maggio. La Libera Repubblica della Maddalena è nei boschi
della Val Clarea. Il punto di incontro è la casetta in muratura costruita
nell’area destinata al cantiere TAV. La casetta, tirata su da muratori No
Tav tra l’autunno e l’inverno, sorge su uno dei terreni comperati dai No
Tav con la campagna “acquista un posto in prima fila”. La Libera
Repubblica della Maddalena sta affondando radici solide nella terra che
gli uomini dello Stato vogliono devastare. Intorno al presidio Clarea di
ora in ora si moltiplicano le tende, il via vai è continuo. C’è chi porta
da mangiare, chi da bere, chi lavora per rinforzare le difese. Tanta
gente. Giovani, meno giovani ed anziani. Gente diversa per storia,
percorsi politici e sociali, modo di vestire e di parlare. Al Clarea si
mescolano le tante differenze che sono la ricchezza di un movimento, che
al momento giusto non ha né padri né padrini, un movimento che cammina
sulle proprie gambe. I ragazzi saltano qua e là, gustando il sapore di
avventura, tra la casa sull’albero e il pilone votivo – abusivo come tutto
qui - tirato su lungo il sentiero. Turi, anarchico e non violento, ha
deciso di digiunare per sette giorni. Niente cibo e niente parola, se non
in assemblea.
Dopo il fallito attacco delle forze del (dis)ordine statale della notte
tra domenica 22 e lunedì 23 maggio la stampa si è scatenata. Ogni pretesto
era buono.
I sassi lanciati in un’autostrada deserta, perché chiusa da ore dalle
forze del disordine, si sono moltiplicati di ora in ora. Prima erano 200
poi sono diventati 700.
I giornali hanno descritto la notte di resistenza alla Maddalena come
“attacco ad operai, automobilisti e polizia”. Nessuno ha notato
l’incongruenza di sassi che non hanno colpito nessuno, che non hanno fatto
male a nessuno.
Il Segretario della CISL Bonanni, ha annunciato una manifestazione in
difesa degli operai contro i facinorosi. Gli altri sindacati di stato, pur
tutti schierati con la lobby del Tav, si sono mostrati più prudenti: sanno
bene che le gite in Val Susa non portano troppa fortuna. Ne sanno qualcosa
i tanti politici piemontesi che negli anni hanno provato a fare comparsate
e all’ultimo hanno preferito dare forfait.
Bonanni e i suoi non si sono mai preoccupati degli operai che hanno
costruito le gallerie Tav nel Mugello: un morto per ciascuno degli 83
chilometri di tunnel della Bologna Firenze. Da che parte stanno lo sanno
tutti. La mossa di mandare avanti i mezzi delle ditte Martina e Italcoge
si fa più chiara: la speranza è dividere il movimento, opponendo gli
interessi di una zona schiacciata dalla crisi a quelli di chi difende il
territorio.
Un gioco sporco. Sporchissimo. Negli ultimi vent’anni i tagli nelle
ferrovie hanno tranciato via 95.000 posti di lavoro. Gli incidenti, le
carrozze spaccate e sporche, le linee soppresse sono lo specchio di scelte
che privilegiano il trasporto di lusso a quello per chi lavora e studia.
La tutela dell’ambiente, la sanità, la scuola potrebbero impiegare molta
più gente del Tav.
Poco importa: le menzogne, passando di bocca in bocca, di giornale in
giornale possono diventare verità di fede. Fortuna che sempre più gente
decide di aprire occhi e orecchie.

Dopo la notte di resistenza di lunedì 23 le le barricate erette lungo la
strada che porta al piazzale della Maddalena sono state smontate per
consentire ai vignaioli, ai turisti, ai ragazzi in gita di accedere ai
campi e all’area archeologica. I No Tav hanno piazzato un gazebo accanto
al ponte dopo la centrale Enel. Un piccolo presidio per accogliere ed
informare chi arrivava e per spiegare con gentile fermezza che poliziotti,
carabinieri e gente del Tav non erano graditi.
Naturalmente i carabinieri del capitano Mazzanti hanno preteso di passare:
i No Tav hanno detto no, mettendo un camper di traverso. Nel comunicato
scritto all’assemblea del 25 maggio si chiariva che “La Val Clarea è
un'area posta sotto tutela dal movimento No Tav che non accetta la
presenza di forze dell'ordine con il chiaro intento di guadagnare terreno
per poi installare il cantiere del tunnel geognostico.”
La digos ha fotografato e filmato tutto. Il giorno dopo il quotidiano La
Stampa scriveva di 15 anarcoinsurrezionalisti denunciati al “posto di
blocco”.

Giovedì 26 l’assemblea popolare al Polivalente di Bussoleno è di quelle
che restano nella memoria. Il teatro è stracolmo: tanti restano in piedi,
si accovacciano a terra, si affollano sul palco, ascoltano da fuori
tendendo l’orecchio.
Arriva per un breve intervento anche Plano, il presidente della Comunità
Montana, che pubblicamente si rimangia le parole del giorno prima alla
stampa, negando di aver mai chiesto compensazioni. I giravolta della
politica sono spesso veloci, velocissimi. Senza l’appoggio delle liste
civiche Plano può dire addio alla sua poltrona.
Tante anime ma idee chiare: la partita si gioca sui monti. Noi con la
forza delle nostre ragioni, gli uomini dello Stato armati di tutto punto.

Il giorno dopo, ormai è venerdì 27, si riuniscono politici ed
imprenditori, destra e sinistra e parlano chiaro. Faremo il cantiere costi
quel che costi. In una conferenza stampa indetta all’Unione Industriali
l’assessore regionale Bonino dice a chiare lettere “"Non c'è nessun limite
di ingaggio, quando si tratta di azioni che tutelano l'incolumità dei
cittadini. Noi siamo a fianco delle forze dell'ordine, sappiamo che il
lavoro che dovranno affrontare sarà complicato e che avranno anche fare
con agitatori di professione o persone addestrate alle tecniche di
guerriglia, che hanno scagliato sassi da 120 chili”. È il via libera per
la mattanza.

Sabato 28 nei boschi di Chiomonte e su al piazzale della Maddalena i
bambini giocano nel bosco, in cucina fervono i preparativi per la cena,
Heidi Giuliani ci racconta del luglio del 2001, quando un uomo dello Stato
sparò in faccia a suo figlio. C’è anche un operaio della Fincantieri che
porta la solidarietà dei lavoratori genovesi in lotta.

La notte tra il 29 e il 30 maggio pareva quella buona. Il prefetto avverte
la Comunità Montana, che istituisce un’unità di crisi a Bussoleno, con
distaccamento di amministratori No Tav alla Maddalena.
La risposta popolare è chiara e forte. Centinaia e centinaia di No Tav
accorrono all’appello: qualcuno, con i bambini, passa al pomeriggio,
tanti, i più, arrivano con il buio.
La cucina da campo va avanti tutta la notte, sfornando pasta, insalate,
frittate, dolci, caffé, the per tutta la notte.
Si fanno assemblee, si discute, si lavora, a gruppi la gente parla di
quello che ci aspetta.
La carta della paura, giocata da politici e imprenditori, non ha
funzionato. I più prudenti si sono comperati i caschi da lavoro con il
simbolo del treno crociato, altri ancora si sono portati quelli da
arrampicata, altri suggeriscono ad altri di coprirsi la testa con le mani.
Alcuni ricordano la notte di Venaus, quando le truppe dello Stato
sollevarono la barricata buttando giù quelli che ci stavano sopra.
Le barricate della Maddalena, perfezionate dai liberi tecnici No Tav, sono
sempre più belle.
Le ore passano, i lampeggianti blu non spezzano la magia della notte.
Una lunga nottata. All’alba tanti vanno filati dalla barricata al lavoro.

All’assemblea del giorno prima c’era anche un partigiano valsusino: un
uomo gracile dalla voce chiara: il filo rosso della gente che resiste si
allaccia, si stringe, diventa vincolo di lotta.
Oggi come allora in montagna non ci sono professionisti della politica, né
agitatori di professione, né persone addestrate alla guerriglia. Oggi come
allora ci sono gli anarchici e i comunisti, i cattolici e gli atei, ma
soprattutto c’è tanta gente che non vuole piegare la testa. La libertà non
ha prezzo.

Maria Matteo

(quest’articolo uscirà sul prossimo numero del settimanale Umanità Nova)