Fwd: LA SCOMPARSA DI MIA FIGLIA - di Carmelo R. Viola - (ennesima morte post chemioterapia)





Inizio messaggio inoltrato:

Da: Altieri Giuseppe <agernova at libero.it>
Data: 20 marzo 2011 1:13:35 GMT+01:00
A: Radio Gamma 5, Radio private, Red link, referendum OGM Grecia, Pace, Pacelink 1
Oggetto: LA SCOMPARSA DI MIA FIGLIA - di Carmelo R. Viola - (ennesima morte post chemioterapia)


Data: Sabato 19 marzo 2011, 10:44

LA REDAZIONE DI " EMOZIONI " E' VICINA AL NOSTRO CARO AMICO E COMPAGNO DI LOTTA CARMELO R. VIOLA E ALLA SUA FAMIGLIA PER LA SCOMPARSA DELLA FIGLIA
 
A N G I O L E T T A
 
e si unisce al piu' vivo cordoglio.
 
Acireale( Catania) , 18/ 3/ 2011
 


--- Ven 18/3/11, Carmelo Viola <csbs at tiscali.it> ha scritto:

Da: Carmelo Viola <csbs at tiscali.it>
Oggetto: La scomparsa di mia figlia
A: "destinatari in ccn t" <csbs at tiscali.it>
Data: Venerdì 18 marzo 2011, 16:47




 
 

Con la scomparsa della mia Angioletta, scopro che tutta la vita è una tragedia e metto in dubbio quanto io stesso ho scritto tempo fa: che il valore della vita sia sempre più grande della pena di viverla. C.R.V.


 
Una storia di normale disumanità

 

Angela VIOLA

         Aveva solo 50 anni ed era carica dei sogni e dei progetti della seconda gioventù come una fanciulla da sposa. Era minuta e gentile come un fiore delicato. Amava la vita, le piccole frivolezze, le piccole civetterie, le piccole vanità, che insaporiscono il quotidiano e dànno un contenuto alla gioia di vivere. Aveva ancora il rosso sulle unghia. Era rimasta una bambina dolce, timida ed amabile. Era ancora la creatura, che avevo visto sgusciare dal grembo materno come un miracolo dell’amore e della natura. Con colei, che mi è compagna di vita da 60 anni, l’avevo cresciuta come una principessa pur nella povertà e nella modestia.
         Aveva solo 50 anni, gli anni della seconda gioventù ed era ancora (per me) la bambina che amava essere portata dalle mie braccia quando la domenica ci recavamo a un cinema o ad un teatro-tenda o soltanto ad un giardino pubblico, unico diporto dopo una lunga settimana di lavoro e di niente.
         Bambina della prima elementare, bella come una rosa di maggio, se ne stava tranquilla sul piccolo banco di scuola a condizione di credere che la mamma l’aspettasse fuori, magari seduta sull’orlo di un marciapiede come una zingara, pronta a ricomparire all’ora del rientro a casa. Aveva un grande bisogno di essere rassicurata ed amata in cambio di una tenerezza che invaghiva, che la giovane maestra sottolineerà in una nota memorabile.
         Aveva solo 50 anni ed era ancora (per me) la fanciulla esile e sensibile, che si era innamorata della musica e del canto, tanto da dedicarvi lunghi anni di studio con successo fino al conseguimento di un diploma di piano e di canto lirico e ad insegnarli a sua volta ad uno stuolo di discenti, di pochi o di parecchi anni, che avevano allietato i pomeriggi della sua condizione di sposa in simbiosi con un giovane sposo, Lucio, certamente più impegnato di lei con l’arte musicale e canora.
         Era ancora la giovanissima artista che, nel 1985, mano nella mano del brillante compagno professionale, ambedue alzate in segno di trionfo, era stata coperta dagli applausi di un folto pubblico di amatori e di intenditori dopo un riuscito concerto, non facile, anche a quattro mani. Era stata davvero un’apoteosi per la giovanissima coppia di affetto e di talento. La foto, che ritrae quella scena, venne pubblicata dal periodico “reportage” di Lamezia Terme, di cui ero collaboratore fisso. Lei, soprano leggero e già madre di un bellissimo bimbo, aveva ragione di accarezzare sogni di insospettabile gloria.
         Non aveva fatto i conti con un destino amaro, che l’attendeva al varco. Fallito il matrimonio per una strana ragione, indipendente da ambedue, era precipitata dall’altare dei sogni fino alla soglia della disperazione. Costretta a limitarsi al solo insegnamento elementare, per cui era diplomata, per un po’ era sembrata riprendersi con il sospiro di chi ha còrso il rischio di annegare e vede le facce rassicurate e rassicuranti dei soccorritori.
         Aveva iniziato la carriera di precaria, normale disumanità nell’àmbito di una società caina. Per parecchi anni era stata sfruttata “cristianamente” da un sedicente istituto religioso, che esigeva lavoro in nero: al resto ci aveva pensato lo Stato asociale, anche con un provvedimento legale quanto criminoso, non meglio definito che“riforma Gelmini”, che gli aveva dato – e non è un’esagerazione – tutti i caratteri della barbarie del principato medioevale dove la fetta più sostanziosa della predazione era divisa fra il “primo” (principe per l’appunto) e i suoi cortigiani. Questo Stato, che Stato non è, non può che abbandonare le nuove generazioni – e non solo queste – a sé stesse. Come dire alla povertà, alla delinquenza e alla mafia.
         Così, questa donna di soli 50 anni, pur dotata di tutti i numeri per avere un lavoro dignitoso e a tempo indeterminato, aveva dovuto seguire la militanza delle supplenze e degli incarichi come giocatori che attendono una buona vincita da una tombola, o come soldati, che attendono gli ordini dei superiori per provvedere con mezzi propri a raggiungere di volta in  volta, una destinazione sempre nuova, vicina o lontana, salubre o acquitrinosa e malarica, in una data ora di un dato giorno, e senza alcun ausilio o rimborso di locomozione e di alloggio e ciò in vista del bene della patria e in attesa di una tregua (magari una pensione da fame) per maturati meriti di servizio (paramilitare).
         Questa donna s’era vista strapparle l’inserimento in ruolo – come fine della sola precarietà – alle porte proprio dei 50 anni, quando l’aveva già, finalmente paga, in pugno, per effetto della suddetta riforma, che ha il valore di una macabra barzelletta. A questo punto aveva vista ripetersi la disumanità a carico del figlio, già ventenne, già accompagnato, già in attesa di una creatura – come vuole la specie che non muore - e puntualmente disoccupato a tempo indeterminato, ovvero abbandonato a sé stesso da uno Stato, dedito alla barbarie del liberismo.
         Ai sogni di gloria, già lontani, era successa altra sofferenza per una madre sollecita e trepidante. Il canto, che ricordava con struggente nostalgia, l’aveva praticato in occasione di feste o serate particolari per il piacere di gruppi di parenti e/o di amici. E di amicizie, questa donna dolce e materna ne aveva proprio tantissime e non solo in àmbito scolastico. Bastava conoscerla per volerle del bene. Ha cantato ancora il 10 settembre 2010 in occasione di una festicciola numerosa organizzata per il proprio 50mo compleanno. Ed era stato il canto del cigno, che così facendo, annuncia la propria morte. Quella sera, felice anche per la presenza dell’ex marito, tornato ed accolto come il figliol prodigo della Bibbia, era stato l’addio al mondo. Le sue giornate erano diventate meno solitarie e tutto aveva lasciato pensare per lo meno al recupero della convivenza. Ma la sorte bieca era rimasta a sogghignare da dietro un angolo e aveva provveduto a portarle via il ritrovato compagno di vita – che nel frattempo era diventato anche un apprezzato concertista e professore di musica – a soli 48 anni.
         I sogni hanno il potere di riprodursi come creatori di valori, i soli capaci di dare un contenuto ed una ragion d’essere all’esistenza altrimenti insignificante. Così, finito di piangere sull’ennesimo fallimento, aveva votato le sue maggior attenzioni al figlio Alberto. Ma la sorte bieca era ancora presente e non rimaneva che distruggere lei, la protagonista. Infatti, non è tutto. Tre anni prima, questa donna era stata colpita da un dardo maligno di un Giova capriccioso e crudele, geloso della felicità altrui. Operata a un seno, aveva creduto di potere guarire – come tante altre. Senonché la congiura natura/potere politico non sarebbe stata perfetta.
         A questa donna, già provata e perseguitata, la medicina ufficiale – sì, quella dei protocolli ministeriali -  non l’aveva messa in condizione di scegliere, d’accordo con un medico di fiducia, tra le tante terapie esistenti. Al contrario, sotto l’incalzare del male terribile, l’aveva invitata a sottoporsi all’unica (intendo alla famigerata chemio), forse la più redditizia  per la più grande mafia multinazionale, intesa come lobby farmaceutica, che conosce solo i profitti e le leggi del mercato nell’ignoranza assoluta della bioetica. Ma lo stesso Stato-teatrino per tonti vanta ogni giorno dei successi contro varie mafie concorrenziali e non autorizzate!
         Mi ero dato alla ricerca delle orme dei Bonifacio e dei Di Bella, già sbeffeggiati e ridotti al silenzio da un governo-cane di guardia della suddetta lobby, e non solo. Avevo chiesto all’amico Giovanni Marra, direttore di “Cronache Italiane” di Salerno se, abitando nei pressi dei Bonifacio, avesse notizia di eventuali eredi professionali di quello e l’amico Giovanni mi dirà di non avere dormito la notte prima di recarsi di persona nel luogo giusto e di avere scoperto solo un erede impegnato in ben diversa attività. Quando si dice conoscere i veri amici nel bisogno!
         Non ricordo come mi ero imbattuto in un tale Giuseppe Zora, anche questo perseguitato dallo Stato per “eresia terapeutica” a proposito di neoplasie. L’Inquisizione esiste ancora! Ma c’è chi non la teme. M’era parso il momento di riprendere l’offensiva di anni prima ed avevo mandato una lettera al Ministero della Salute – pubblicata sulquotidiano Rinascita di Roma -, che era una vera e propria dichiarazione di guerra contro la negata facoltà del cittadino paziente a scegliersi una terapia a proprio rischio e responsabilità. Nient’altro che l’esercizio di un diritto naturale, che precede, appunto perché naturale, il potere, a cui compete solo l’obbligo di renderlo attivo (positivo). Avevo richiamato il caso Zora e mi ero aspettato da questi un grazie ed un assenso per il comune sèguito dell’offensiva. Ma il dr. Zora s’era solo risentito e comunque dichiarato non disposto a sfidare l’ira del potere come un cane bastonato, che ritrae la coda davanti ad un padrone violento. E’ così che la debolezza dei giusti fa la forza dei cattivi. Né, dal canto suo, il Ministero (in) competente aveva provveduto a rispondermi secondo norme elementari di civiltà.
         Per amore di questa donna, affidandola fiducioso alle cure dello Zora, avevo promesso di non coinvolgerlo, convinto comunque che, come erede spirituale di Bonifacio e di Di Bella, avesse preso il meglio dell’una e dell’altra parte per sintetizzare una propria terapia alternativa. Non debitamente informato (e di questo non gliene sono grato), avevo scoperto che l’amico Giuseppe praticava solo una terapia generica e preventiva per il solo rafforzo del potere immunitario. Mi aveva consolidato la convinzione il fatto che il farmaco da lui prescritto veniva da due farmacie della Repubblica di S. Marino, perché vietate a casa nostra.
         Nel frattempo questa donna aveva praticato la terapia di Stato e quando alfine avevo scoperto, fra le pieghe di una semiclandestinità, come ai tempi della carboneria, il cosiddetto metodo Di Bella, era troppo tardi. Questa donna, con il rosso allegro sulle unghia, per somma ironia della sorte, aveva già la morte addosso. Ci eravamo affrettati a richiedere i farmaci specifici ad enti distanti o a comprarne di molto care, sperando nella retrocessione di un male, che aveva già distrutto il fegato, con quel quadro clinico, che non sto a descrivere. Non so se, trattata in tempo, sarebbe guarita ma so per certo che la chemio uccide e che questa donna è stata un assassinio potenziale del mercato, non libero (il che sarebbe un male minore) ma liberista, il che significa gestito dai più forti.
         Ho assistito questa donna – in compagnia di mia moglie e di braccia amiche, durante il suo ultimo mese di vera via crucis, cioè dal momento in cui ha sentito il bisogno di stare a letto (come diceva: fino a pochi giorni prima sembrava il ritratto della salute!) e l’ho vista spegnersi giorno dopo giorno, momento dopo momento, come una candela che si scioglie. L’ho vista sprofondare nel nulla come uno che affoga, con tutti i suoi sogni,  in un pozzo di sabbie mobili e tu non puoi fare nulla non avendo a portata di mano nemmeno un lungo ramo da tendere alle mani del naufrago, che implora aiuto mentre il fango sale inesorabilmente verso la bocca e la morte.
         Aveva solo 50 anni questa donna, che aveva nascosta la realtà ai genitori vecchi per non tenerli in allarme mentre sentiva mancarsi le forze, mentre rivedeva le centinaia di cose, anche piccole e insignificanti, che costituivano il suo mondo e che ora riordinava con la stanchezza di chi sente di essere prossima a dire addio a tutto: all’alba come agli affetti, al tepore di un letto come alla luce del sole. Amante degli animali, aveva appena arricchito la propria casa di alcune coppie di graziosi e intelligenti pappagalli, di quelli che imparano a ripetere perfino motivetti e si abituano a convivere con l’uomo fuori della gabbia.  Uno, in particolare, le saltava addosso e faceva una piccola-grande felicità di questa donna, che fino alla fine, il corpo tumefatto per l’ascite e la ritenzione dei liquidi e il viso verdognolo per l’itterizia, sapeva distribuire sorrisi a quanti le volevano bene. E quando non poté più sorridere, riuscirà a far parlare gli occhi per il proprio figlio.
         A nulla è valsa una doppia gita a Cuba per prelevare un farmaco sperimentale, che quello Stato socialista, stremato da un embargo imposto dagli USA, distribuisce gratis a tutto il mondo. La prima era stata fatta da mia moglie, 83 anni compiuti, con una determinazione per un’avventura così lontana, da poterla definire madre-coraggio. La seconda era stata fatta da un familiare per la prosecuzione del trattamento.
         Quella donna, dolce, materna, gentile e amabile, si chiamava Angela, era un angelo ed era mia figlia. Se n’è andata nel nulla con il rosso sulle unghie, mentre la rivedevo bambina tendermi le piccole braccia. Non ditemi di comprendere il mio dolore. Infatti, non ho più parole ma solo lagrime. Tuttavia, disturbato da quanti mi parlano di un padreterno onnipotente e misericordioso, che non evita le infinite sofferenze, che gli uomini si sarebbero procurate da sé con il peccato di Adamo, ripeto le parole dei grande Arthur Schopenhauer: “Se un Dio ha creato questo mondo, non vorrei essere io perché le miserie umane mi spezzerebbero il cuore”. Vi invito a meditare su questi versi del Carducci:”…cos’è mai la vita? E’ l’ombra di un sogno fuggente/ la favola breve è finita/ il vero immortale è l’amor”.

                                                               Carmelo R. Viola