Torino. Storie di resistenza al razzismo



Torino. Storie di resistenza al razzismo

 

Arresto di un abusivo

Torino, dove la crisi macina le vite e dove il ritmo quotidiano – per molti, per troppi – è segnato dal timore di essere intercettati da una pattuglia, spediti al CIE, deportati.

È il 12 febbraio, una di quelle giornate che le alpi si stagliano tra le case e le strade sono spazzate da un aria tersa, azzurra, gelida. Per uno dei tanti abusivi che campano spacciando pane ai margini del mercato di Porta Palazzo, un giorno di merda: la polizia l’ha preso e se l’è portato via.

 

Medici non spie

La serata del 12 il freddo diventa implacabile. All’ingresso delle Molinette, l’ospedale più grande del Piemonte, la gente passa in fretta, stringendosi nei cappotti, tuttavia qualcuno si ferma al punto info della FAI Torinese per dare un’occhiata alla mostra sulle nuove leggi razziste, al banchetto informativo, altri leggono il volantino, qualcuno chiede informazioni.

Sono passati pochi giorni dall’approvazione in Senato del “pacchetto sicurezza”. Se la legge sarà approvata anche dalla Camera non ci saranno più cure né medicine per i senza documenti, perché ai pazienti che non li hanno non sarà garantito l’anonimato: medici e infermieri potranno denunciarli.

Già oggi a Torino sono diminuiti del 50% gli stranieri che si rivolgono alle strutture sanitarie: solo l’annuncio della nuova legge è bastato a creare panico, nonostante molti medici ed infermieri abbiano dichiarato pubblicamente la loro opposizione ad una legge che contrasta con il nucleo etico della loro professione, quella che vincola a curare tutti senza distinzione.

In alcuni ospedali molti lavoratori della sanità portano il cartellino “siamo infermieri e medici, non spie”.

L’auspicio è che cresca l’obiezione, perché altrimenti un giorno qualcuno starà male nell’androne di una casa, dietro ad un albero dei giardinetti, nascosto dentro una vecchia auto. Forse morirà. Morirà per una legge razzista, perché il parlamento ha tracciato una linea tra uomini e no, tra chi ha diritti, compreso quello di vivere, e chi no.

In qualsiasi momento, anche ora, una donna partorirà senza assistenza, stringendo i denti e sperando che il suo bambino ce la faccia da solo. Un bambino clandestino, un’umanità clandestina.

Clandestina diverrà la dignità di un’intera società se si permetterà che ciò accada in mezzo a noi.

 

Una mano solidale

Siamo a S. Salvario, quartiere multietnico alle spalle della stazione Porta Nuova, una compagna antirazzista, armata di scotch e manifesti contro le ronde, li sta affiggendo. È sempre il 12 febbraio e il freddo morde le chiappe. Una pattuglia di carabinieri intercetta la compagna, che tiene i manifesti dietro la schiena. Un ragazzo maghrebino sconosciuto, rapido e invisibile glieli sfila di mano passandole accanto. I carabinieri se ne vanno e i manifesti, recuperati in un locale poco distante, finiscono sui muri della zona.

Non sempre una giornata che comincia di merda finisce peggio.

 

Luna park antirazzista

Sabato 14 febbraio. Il “Giornale” di lunedì 9 febbraio aveva riportato le dichiarazioni di alcuni esponenti leghisti, che, nel commentare esultanti la legalizzazione delle ronde razziste, avevano annunciato la loro presenza a Porta Palazzo per il sabato successivo.

Gli antirazzisti non potevano certo mancare all’appuntamento. Il retro del Palafuksas, già teatro dei tornei di “Calcio all’Alpino”, nonché spazio conquistato, metro dopo metro, dal mercato abusivo della domenica mattina, si trasforma in un Luna park antirazzista, per “Fionda la ronda! Giochi senza frontiere contro il pacchetto sicurezza”, un’iniziativa condivisa all’interno dell’Assemblea Antirazzista torinese.

Tra le attrazioni più gettonate il classico gioco del lancio delle palle contro le teste che escono dalle sagome in legno vede l’appassionata partecipazione di una piccola folla, che fa a gara a colpire Borghezio, Berlusconi, Maroni, Bossi, Carossa. Proprio Carossa, esponente di spicco della Lega piemontese, ad un certo punto compare di persona alla fermata del tram, ben coperto da un nugolo di digos. Forse sperava che qualcuno ci cascasse e lo usasse come bersaglio, ma ha dovuto accontentarsi di qualche sberleffo, prima che la polizia lo trascinasse lontano dagli sghignazzi antirazzisti.

Intanto la piazza si anima per una serie di partite di calcio all’alpino, allo stand di “fionda la ronda!” in molti si cimentano a colpire con il fucile ad elastici gli squadristi/barattolo, altri cercano lo strike con birilli di plastica in divisa.

 

Contro le ronde e il pacchetto sicurezza

Nel pomeriggio di sabato 14 ai giardini Lamarmora, in pieno centro cittadino, viene allestito il punto info della FAI torinese contro le ronde e il pacchetto sicurezza. Musica, distro, volantini, suscitano attenzione e curiosità. Un antirazzista a passeggio con la sua bambina passa e porta bugie al cioccolato e alla ricotta, altri prendono il fazzoletto rosso contro le retate. Un compagno racconta che quella mattina nel supermercato dove lavora ha respinto la richiesta del suo capo di cacciare dal parcheggio gli asiatici che vendevano fiori. Un piccolo, importante, gesto di resistenza quotidiana.

 

Fuochi al CIE

La giornata non è finita. In serata alcuni antirazzisti decidono di andare al CIE di Corso Brunelleschi. Battitura di ferri, fuochi d’artificio, “liberi tutti”. Anche lo “spacciatore” di pane portato via dalla polizia giovedì mattina forse adesso sta al di là di quel muro. Un muro che, pietra dopo pietra, va tirato giù.

 

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