A Londra i tribunali islamici applicano la Sharia



A Londra i tribunali islamici applicano la Sharia

Migliaia di sentenze su matrimoni, divorzi e eredità. Così la religione diventa legge

Chi di voi sa che in Gran Bretagna ci sono dozzine di tribunali islamici che legiferano e emettono verdetti sulla base della sharia, la legge islamica? Con giudici e corti che si riuniscono all'interno delle moschee, dei centri islamici e delle scuole coraniche, che hanno già emesso decine di migliaia di sentenze relative allo stato civile e familiare dei musulmani del Regno, principalmente in materia di matrimonio e divorzio, eredità e contese patrimoniali? Ebbene, è un'inquietante realtà che esiste sin dal 1982.

Una realtà che è un frutto degenere dell’ideologia del multiculturalismo che, dopo aver scardinato la società dividendola in ghetti urbanistici, scolastici, etnici e confessionali in conflitto con gli autoctoni sul piano dei valori e dell’identità, ha permesso che si creasse un doppio binario giuridico con la sharia che affianca e mette a repentaglio la legge dello Stato.

Il primo tribunale islamico in Gran Bretagna fu istituito nel 1982 a Leyton, a est di Londra, con il nome di «Consiglio della sharia islamica». Il segretario generale è Suhaib Hasan, membro del Cerf (Consiglio europeo per le ricerche e la fatwa), organismo presieduto dall’apologeta del terrorismo islamico suicida Youssef Qaradawi, leader spirituale e giuridico dei Fratelli musulmani in Europa, cui la Gran Bretagna proprio negli scorsi giorni ha negato il visto d’ingresso. Nel suo Statuto il Cerf sancisce che «la sharia incarna inequivocabilmente le leggi supreme della vita. La sharia pertanto deve essere rispettata come superiore alla legge civile e alla democrazia. La sharia non può essere emendata per conformarsi all’evoluzione dei valori e dei comportamenti umani. La sharia è in assoluto la norma a cui devono sottomettersi tutti i valori e i comportamenti umani, è il contesto cui essi devono fare riferimento ed è il parametro con cui essi devono essere vagliati ».

Su questa base Suhaib Hasan ha spiegato in un’intervista rilasciata al quotidiano saudita Asharq Al Awsat lo scorso 22 febbraio che «noi operiamo come un tribunale religioso islamico. Ciò significa che noi celebriamo i processi e emettiamo delle sentenze scritte, conformemente alla sharia e al fiqh (l’elaborazione del diritto islamico, ndr), dopo aver valutato il caso ».

Quasi a voler tranquillizzare i non musulmani, spiega che «noi come comunità islamica vogliamo alcuni dei diritti sharaitici nell’ambito dello statuto personale islamico in tema di matrimonio, divorzio, eredità e diritti della seconda moglie. Ma noi non aspiriamo ad amputare la mano del ladro o a lapidare l’adultera o l’adultero». Egli ha precisato che dal 1982 il suo tribunale islamico ha emesso 7 mila sentenze di divorzio islamico, si tratta più correttamente della formalizzazione del talaq, il ripudio, che è una prerogativa dell’uomo, o del faskh e del khul, che sono l’annullamento del contratto di matrimonio su richiesta della moglie per il comportamento violento del marito e restituendo comunque la dote. Al riguardo è categorico: «Le questioni del matrimonio e del divorzio non sono di competenza dello Stato, sono bensì religiose. Se i fedeli ottengono una sentenza civile, ritengono che sia loro dovere integrarla con quella religiosa». Suhaib Hasan fa questa previsione: «La sharia viene applicata ampiamente in Gran Bretagna tutti i giorni. Pertanto nessuno deve sorprendersi se si dovesse introdurre parti della sharia nell’ordinamento giuridico britannico ».

Certamente oggi sarebbe eccessivo definirlo «Regno islamico della Gran Bretagna ». Ma non è affatto infondato sostenere che ci sono i presupposti perché lo diventi. Perché è solo prendendo atto che sussiste un processo strisciante e inarrestabile di islamizzazione sociale, culturale e giuridica, da intendersi come adozione di un’ideologia integralista e radicale islamica tra i circa due milioni di cittadini britannici di fede musulmana, che si possono comprendere e contestualizzare sia la recente dichiarazione del primate della Chiesa anglicana, Rowan Williams, a favore dell’adozione della sharia, sia la decisione del governo laburista di Gordon Brown di avallare la poligamia riconoscendo gli assegni familiari alle mogli islamiche. La verità è che una volta che si è istituito che la mitizzata e inesistente «comunità islamica» deve essere lasciata libera di autogestire i propri affari interni, che si è assistito inerti alla formazione di quartieri a maggioranza islamica, che si è immaginato che non si dovesse in alcun modo interferire nell’attività delle moschee e delle scuole coraniche anche se fomentano l’odio e predicano la violenza, che si è permesso all’insegna del «politicamente corretto » che i musulmani avessero i propri tribunali così come è consentito ai cristiani e agli ebrei, non ci si deve sorprendere se poi si scopre che quest’insieme è una miscela esplosiva in grado, non solo di destabilizzare il Paese sul piano della sicurezza, ma soprattutto di sovvertire l’ordinamento costituzionale che incarna i valori e l’identità nazionale. Ma la vera tragedia è che gli autoctoni e lo Stato finiscono per ritrovarsi prigionieri della loro concezione formalistica della libertà e della democrazia, perché dalla relativizzazione di tutto e di tutti accettano un certo islam a prescindere dai suoi contenuti, poi tollerano dei valori e dei costumi anche se in contrasto con quelli propri come è ad esempio l’istituto della poligamia, infine si sottomettono all’arbitrio delle ideologie e delle fedi avverse quali sono appunto la sharia e l’islam radicale.

Magdi Allam
26 febbraio 2008