Magdalene Sisters l'8 marzo



Articolo di Natalia Aspesi  La Repubblica del 31.8.2002

 “MULLAN:

 ACCUSO LA CHIESA CHE UMILIAVA LE DONNE”

La sua è una storia horror, di quasi insopportabile oppressione femminile, con una scena di nudo d’indicibile umiliazione; il film potrebbe davvero suscitare sdegno, eppure, dice l’autore Peter Mullan, “non credo che la Chiesa protesterà ufficialmente, perché ha ben altro a cui pensare, ben altri scandali di cui rendere conto, per esempio la vergogna dei preti pedofili negli Stati Uniti: anche in Irlanda ha avuto molte noie e sono finiti sotto inchiesta orfanotrofi religiosi e denunciati per maltrattamenti e abusi”.

The Magdalene sisters, in concorso,  è uscito ieri nei cinema italiani in contemporanea con Venezia, e racconta la tragedia tutta anglo-irlandese dei conventi gestiti dalle suore della Misericordia, dove venivano imprigionate anche a vita giovani donne considerate perdute: “Ragazze colpevoli di avere offeso Dio, perché diventate madri senza essere sposate , perché stuprate e quindi cadute in peccato mortale, perché troppo carine e quindi portatrici anche inconsapevoli di tentazione e seduzione”. Il film può apparire del tutto incredibile, visto che si svolge non secoli fa ma nel 1964, e infatti alla proiezione per la stampa c’erano spettatori indignati, tra cui il critico dell’Avvenire Francesco Bolzoni che lo ha definito “ridicolo e infame”. “Le nostre ricerche sono state accurate, nulla di quel che mostriamo è stato inventato: in quegli anni in Inghilterra i conventi Magdalene, che prendevano il nome dalla peccatrice del Vangelo Maria Maddale, erano 15, in Scozia 4, in Irlanda del Nord 3, in Irlanda 23. L’ultimo è stato chiuso nel 1996, e non per ragioni etiche, non perché la società civile si sia ribellata, ma solo perché la diffusione di massa delle lavatrici domestiche aveva reso obsoleto la loro funzione e non erano più fonte di guadagno: infatti i conventi Magdalene non erano altro che grandi lavanderie gestite dalla gerarchia ecclesiastica, in cui le penitenti recluse lavoravano come schiave, senza alcun compenso.”Peter Mullan è scozzese e cattolico (è stato il protagonista di “My name is Joe” di Loach, vincendo il premio per il miglior attore a Cannes nel ’98) è contro ogni integralismo religioso, “perché, sia cattolico che islamico, perpetua la paura patriarcale delle donne, soprattutto giovani o addirittura adolescenti, e non sa difendersi che opprimendole e cancellandole ed esercitando il controllo feroce della loro sessualità”. Il regista assicura di aver tralasciato episodi veri ma raccapriccianti per paura di rendere il film insopportabile. Bernadette vive in uno orfanotrofio ed è così civetta da spazzolarsi i capelli; Patricia è costretta dai genitori a dare il suo piccolo “bastardo” in adozione; Crispina è ritardata e madre inconsapevole; Margaret è stata stuprata. Dio si è arrabbiato con queste peccatrici, le famiglie non sopportano di essere disonorate, il parroco sente il dovere di proteggere da loro la sua virtuosa comunità. Un tribunale non può giudicarle perché non hanno commesso alcun delitto, ma la Chiesa può farle espiare: finiranno in un Magdalene, private di tutto, impossibilitate ad alcun contatto col mondo, condannate a pagare per tutta la vita, a meno che un parente vada a riprendersele sfidando l’ostracismo sociale, oppure evadendo. “Non era difficile fuggire da quei lager, ma se venivano riprese, le punizioni erano terribili, in più spesso erano le stesse recluse a ritornare perché bollate come puttane, rifiutate dalla famiglia, ormai istituzionalizzate, erano incapaci di vivere libere”. Il film inizia con un’allegra, rumorosa festa di nozze, durante la quale Margaret viene violentata dal cugino: la notizia corre di parente in parente, muta nel fragore della musica, ma non sarà il ragazzo, il maschio, a essere punito se non denunciato, ma la ragazza, ormai marchiata per sempre e per sempre portatrice di peccato. Nell’ansia cattiva, nella paura umiliata, che percorre ogni scena, ce n’è una di massima desolazione: due suore stupide organizzano un gioco crudele: le ragazze nude e tutte schierate, e loro a giudicarle, senza neppure morbosità, chi ha i capezzoli più piccoli, chi il seno più pesante, chi il sedere più grosso, chi è più pelosa. Il ludibrio di quei corpi che la Chiesa ha condannato perché impuri, di quella nudità che offende la religione, di quell’essere femmine e quindi dannate all’inferno, è ancora più angoscioso delle percosse, delle mani immerse nell’acqua a sfregare sporcizia tutti i giorni, dei capelli rasati. Pare di essere ai tempi dei Miserabili, di Oliver Twist, della Londra incisa da Dorè, “eppure queste sono storie autentiche, documentate, e le protagoniste sono ancora vive. Si calcola comunque abbiano vissuto sino alla morte più di 30.000 donne dimenticate”. Se la Chiesa cattolica d’Irlanda nel film è davvero la matrigna cattiva, “è ovvio che un’organizzazione colpevole come quella dei conventi Magdalene poteva prosperare solo in un paese e in anni in cui le famiglie erano conniventi e collaboravano all’annientamento di chi portava il disonore, e in cui gli uomini esercitavano ogni potere e angheria sulle donne. Come in tutti i luoghi concentrazionari, anche in quei conventi di sole donne, da cui la misericordia, la compassione erano bandite, s’ instaurava la legge del più forte, il piacere del sadismo, il contagio della cattiveria”. L’Irlanda naturalmente è molto cambiata  negli ultimi anni: “La religione non è più così invasiva, ma il suo potere è stato sostituito da quello del denaro. Oggi l’ossessione non è evitare il peccato, ma arricchirsi. E ancora a pagare sono i più deboli”.