rassegna stampa: AGRICOLTURA A UN BIVIO



A cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Green Planet" - 4 maggio 2008

AGRICOLTURA A UN BIVIO.
Per far fronte al forte aumento dei prezzi di grano, riso, soia e mais
l'attività di ricerca e sviluppo deve concentrarsi sui bisogni dei piccoli
agricoltori. La ricetta su Science.

Il mondo è in piena crisi alimentare. Il forte aumento dei prezzi di grano,
riso, soia, mais ha spinto alcuni paesi, come Vietnam, India, Cina,
Cambogia, a chiudere totalmente o in parte le frontiere all'esportazione del
riso per evitare di restare senza scorte. Altri, tra cui Argentina, Russia,
Kazhakistan hanno ridotto le esportazioni di grano mentre Mozambico, Costa
d'Avorio Haiti, Senegal e Guinea sono sull'orlo della guerra civile a causa
dell'assalto al cibo nei campi e nei magazzini. E la situazione non accenna
a migliorare, anzi. Secondo l'annuncio fatto dal presidente della Banca
mondiale Robert Zoellick al termine di un vertice sull'emergenza cibo tra i
massimi responsabili di 27 organizzazioni, agenzie e programmi dell'Onu, i
prezzi del grano e del riso potrebbero restare alti, gettando nell'emergenza
umanitaria milioni di persone nei paesi in via di sviluppo che spendono la
maggior parte del loro reddito per il cibo.
Come fare in modo che lo sviluppo agricolo riduca la fame e la povertà e sia
insieme sostenibile? È quanto si chiede un gruppo di esperti in un articolo
su "Science". Se è vero, infatti, che la produzione è aumentata, ciò non si
è tradotto in un maggior accesso al cibo. Al contrario, grandi sono stati i
costi ambientali delle produzione, con eutrofizzazione dei terreni,
contaminazione da pesticidi e perdita di colture locali. Per questo, come
riporta anche l'ultimo rapporto dell'International Assessment of
Agricultural Science and Technology for Development (Iaastd), serve un
cambiamento di rotta radicale. "Per aumentare la produttività in maniera
ecosostenibile e a beneficio delle fasce più povere, le conoscenze
scientifiche e tecnologiche devono essere prodotte con approcci
interdisciplinari, con la partecipazione dei coltivatori e degli altri
stakeholder", spiega Anne Marie Izac del Consultative Group on International
Agricoltural Research (Cgiar) e una delle firmatarie dell'articolo, che
denuncia: "Attualmente, e negli anni passati, l'investimento nella
conoscenza per lo sviluppo agricolo è drasticamente diminuito". Solo un
terzo della spesa globale in agricoltura, circa 10 miliardi di dollari,
viene speso per risolvere i problemi dei paesi in via di sviluppo, meno del
3 per cento del valore totale dei sussidi che i paesi dell'Oecd pagano per
mantenere la loro produzione agricola. Un dato allarmante se si pensa che
nei prossimi vent'anni il cambiamento climatico causerà le più grandi
perdite proprio nelle regioni povere del mondo e che le aree deserte sono
abitate da oltre due miliardi di persone.

L'attività di ricerca e sviluppo, quindi, deve concentrarsi di più sui
bisogni dei piccoli agricoltori. Basterebbero semplici tecnologie e
investimenti. Per esempio un nuovo regime dei diritti di proprietà
intellettuale per incoraggiare l'imprenditoria dei contadini e favorire lo
sviluppo di aziende di semi locali, non garantiti dalle compagnie che
dominano il mercato. "I problemi di fertilità del suolo possono essere
invece affrontati con l'uso di risorse locali come alberi e piante di
leguminose, che fissano l'azoto atmosferico e riducono l'uso e i costi dei
fertilizzanti", continua Izac. "Non dobbiamo cercare la soluzione, ma più
soluzioni, prendendo spunto dalle pratiche tradizionali". In molti paesi
dell'Africa sub-sahariana, infatti, gli agricoltori seminano molte varietà
diverse della stessa coltura, e anche varietà migliorate. Questo perché
sanno che con la siccità le varietà locali produrranno di più di quelle
migliorate, mentre con la pioggia renderà di più il raccolto delle varietà
migliorate. Non solo. Si stima che le importazioni di prodotti caseari,
aumentata del 43 per cento dal 1998 al 2001, potrebbe essere ridotta con
semplici tecnologie post raccolto (silos metallici), che possono prevenire
anche le perdite di riso.

Gli investimenti in ricerca e sviluppo devono però essere accompagnati anche
da quelli in infrastrutture, in educazione di base e in network che creino
competenze locali. E gli Ogm? L'articolo non li indica come una soluzione a
priori. Tutto dipende dall'ambiente e dalle condizioni sociali ed economiche
in cui si inseriscono. "L'evidenza empirica non è sufficiente e non copre
tutte le situazioni per vedere negli ogm una soluzione, i loro effetti e
costi variano da regione e regione. Serve una ricerca partecipa per capire i
pro e i contro di questa tecnologia".

Sulla necessità di rivedere il ruolo della scienza e tecnologia in
agricoltura si è discusso anche durante il convegno "Avanzamento delle
conoscenze e agricoltura biologica: le nuove frontiere per il bio",
confronto tra ricercatori, produttori e consumatori per favorire
un'agricoltura sostenibile organizzato a Roma lo scorso 16 aprile dal
dipartimento agroalimentare del Cnr con il Consiglio per la ricerca e la
sperimentazione in agricoltura (Cra) e l'Associazione italiana per
l'agricoltura biologica (Aiab). "Bisogna più competitivi imprese e prodotti
biologici, innalzando il livello di conoscenze, sostenendo una ricerca
interdisciplinare e incoraggiando le innovazioni tecnologiche", spiega Mauro
Gamboni del dipartimento agroalimentare del Cnr. "Tutto sommato per
affrontare i problemi dei paesi in via di sviluppo non c'è bisogno di molti
soldi ma di soluzioni semplici, mutuate anche dalla tradizione". Il nostro
paese invece si sta già dotando di tecnologie per la sostenibilità
ambientale. Al convegno sono stati presentati i biosensori per il
monitoraggio dell'inquinamento ambientale, la valutazione della qualità dei
cibi e la valorizzazione di produzione tipiche, sviluppati dall'Istituto di
cristallografia del Cnr; un nuovo biopesticida messo a punto dall'Istituto
per la protezione delle piante (Ipp), da somministrare nelle acque di
irrigazione. E ancora, per la conservazione di frutta e ortaggi, si fa
strada la termoterapia sperimentata dall'Istituto di scienza delle
produzioni alimentari (Ispa-Cnr) sugli agrumi di Acireale, da usare in
alternativa alle sostanze chimiche per il trattamento post-raccolta. (fonte:
GalileoNet.it)
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