Campagna Abiti Puliti: lettera aperta a Oliviero Toscani



La campagna sull’anoressia realizzata da Oliviero Toscani per Flash&Partners (marchi della moda Nolita e RaRe) si e’ da poco conclusa con uno strascico di polemiche per la decisione dell’Istituto dell’Autodisciplina pubblicitaria di ordinare il ritiro delle affissioni. 
Resta la censura, ma di ben altra gravita’, quella che ha colpito le associazioni e i sindacati indiani, oltre alla nostra campagna internazionale, per aver denunciato le indegne condizioni di lavoro di centinaia di lavoratori che producono o hanno prodotto jeans per noti marchi internazionali, fra i quali spiccano ARMANI e proprio la FLASH&PARNTERS.
Questa e' la lettera aperta che la Campagna Abiti Puliti ha scritto a Oliviero Toscani.
Un caro Saluto.
Ersilia Monti



LETTERA APERTA A OLIVIERO TOSCANI

PRIMA CHE CALI LA SERA SULLA SUA ULTIMA CAMPAGNA, FACCIAMO LUCE SUI DIRITTI DEI LAVORATORI INDIANI

“Se c’è la censura, c’è il successo. L’arte è sempre stata al servizio del potere economico e politico. E la
censura è la migliore forma di promozione”.
Sono parole sue, signor Toscani, pronunciate nel corso di un programma radiofonico andato in onda su
Rai Radio 3 l’8 novembre scorso. Ne vorremmo ragionare con lei.

Fra poco calerà il sipario mediatico sulla sua ultima campagna commerciale a sfondo sociale, intorno al
tema dell’anoressia, e con questa sulle polemiche innescate dalla decisione del giurì dell’Istituto di
Autodisciplina Pubblicitaria di intimare ai suoi associati il ritiro delle affissioni.
Lei avrà concluso il suo lavoro con una certa dose di “successo” in più, il suo committente Flash&Partners,
proprietario dei marchi RaRe e Nolita, tirerà le somme della sua esposizione pubblica, forse raccogliendo
il lustro sperato per i suoi fino a ieri oscuri marchi della moda. Il tempo dirà quale beneficio sociale abbia
portato tutto questo. A giudizio delle associazioni dei malati di anoressia, nessuno.

Resteranno la censura, il sopruso, la negazione della libertà di espressione. Questi sì. Ma non nel senso
che intende lei.

Di una ben più grave censura è corresponsabile proprio la Flash&Partners, che appalta la produzione a
una importante azienda indiana, la Fibres & Fabrics International (FFI), solita confezionare i suoi jeans in
condizioni di lavoro ritenute indegne dai lavoratori intervistati. Di fronte alla denuncia di tali condizioni, la
FFI ha reagito portando in tribunale associazioni e sindacati con l’obiettivo di silenziare tutti. E per la prima
volta nella storia della nostra campagna - la Clean Clothes Campaign (CCC)-, è stato spiccato un
mandato di cattura per alcuni attivisti europei, rei di avere diffuso informazioni circa le violazioni in corso.

Proprio in questi giorni un tribunale di Bangalore sta decidendo della speranza di trovare ascolto fra i
creatori e i consumatori di moda del nostro ricco e viziato mercato per migliaia di mal pagati e abusati
lavoratori indiani della FFI. Un SOS che non vogliono più affidare a una bottiglia nell’oceano della loro
deriva sociale. Per questo da oltre quindici anni la nostra rete internazionale – la CCC -, lavora per
difendere i diritti dei lavoratori del tessile dando loro voce nei paesi dei consumatori finali.
Sarà ancora possibile per i lavoratori difendere i loro diritti dopo che un provvedimento restrittivo della
libertà di espressione, emesso dal tribunale, chiude ormai da oltre un anno la bocca ai sindacati e alle
organizzazioni della società civile di Bangalore, pena alcuni anni di carcere? Sarà ancora possibile il
nostro impegno se a breve il mandato di arresto che ha colpito il nostro staff europeo ci inseguirà in tutti i
paesi che hanno in vigore un accordo di estradizione con il governo indiano? E tutto questo solo perchè si
è avuto il coraggio di togliere il velo su quello che accade dietro i cancelli della FFI.

Se vuole conoscere i reati di cui i lavoratori della FFI si sono macchiati, e noi con loro, non ha da far altro
che chiedere a Flash&Partners che, oltre ad essere il committente della sua campagna sull’anoressia, è
anche il committente di FFI per i propri jeans, e da più di un anno tace sulle denunce contenute in un
rapporto circostanziato, frutto di indagini e delle testimonianze raccolte dalle organizzazioni oggi
condannate al silenzio.

La censura esiste – in questo siamo d’accordo con lei – con una differenza: porta notorietà a lei e
paradossalmente rafforza il potere economico al quale, per sua stessa ammissione, la lega un rapporto di
mutua assistenza. Contemporaneamente però condanna altri all’invisibilità e alla negazione del diritto a
una vita degna.

Ha ragione quando dice, come riportano i giornali, che il nostro paese è conosciuto all’estero più per le
borse e le scarpe che per i prodotti dell’ingegno. Non perchè sono “prodotti da terzo mondo”, ma proprio
perchè sono prodotti nel terzo mondo. Infatti, Flash&Partners indica nel suo sito la strategia della
delocalizzazione come uno dei capisaldi del suo successo e dei vantaggi competitivi che caratterizzano i
suoi marchi. E ciò si ottiene con una politica di “consegne” e di “flash stagionali” per assecondare le
“esigenze di un mercato sempre più affannato alla ricerca della novità”. Traducendo, Flash&Partners
agisce nella più classica logica di mercato, quella che nel settore della moda ha fatto del consumo
effimero e veloce la sua ragion d’essere, e della riduzione drastica dei tempi di consegna e dei prezzi il
suo strumento.
Senza curarsi tuttavia delle conseguenze che questo tipo politica comporta, e che i dipendenti indiani di
FFI hanno raccontato in dettaglio: ritmi produttivi insostenibili, straordinari obbligatori e non pagati, abusi
fisici e verbali, lavorazioni nocive, divieto di attività sindacale.

Sui tabelloni a marchio Nolita, che fino a pochi giorni fa campeggiavano nelle strade delle nostre città, al
posto di una modella anoressica a mostrare senza veli i segni della sua malattia, poteva a buon diritto, e
con altrettanto impatto, comparire un’altra nudità: quella di un povero ragazzo spogliato e picchiato di
fronte ai compagni di lavoro all’unico scopo di intimidirli.
L’anoressia è una malattia del nostro tempo, che in altra forma colpisce anche i lavoratori indiani di
Flash&Partners, per troppa fame repressa di dignità, di salario, di libertà di espressione e di
organizzazione.

Un record negativo in più rende il nostro paese riconoscibile: le sue aziende di prodotti della moda sono
sempre le ultime a poter dimostrare di aver assunto impegni di responsabilità sociale. Su sette imprese
committenti internazionali, Armani e Flash&Partners sono le uniche a non aver mai risposto ai ripetuti
appelli a intervenire presso il loro fornitore per chiedere il ripristino della libertà di espressione, appelli
avanzati dalla nostra campagna e dai tanti cittadini e consumatori che vi hanno aderito.

Se per Flash&Partners “l’intento aziendale è quello di usare i mezzi pubblicitari come strumento di
sensibilizzazione ai mali sociali”, come dichiara, perché tace colpevolmente?
Dato che lei ama definirsi “testimone del proprio tempo”, la invitiamo ad aiutarci a rendere evidente quale
desolazione sociale sta dietro il denaro che rende possibile il suo lavoro.

Saremo felici di incontrare lei e la sua impresa committente per discutere di tutto questo.

Contro la censura e la negazione del diritto alla parola non c’è altro tempo da perdere.

Per la Campagna Abiti Puliti

Francesco Gesualdi
Deborah Lucchetti
Ersilia Monti