rassegna stampa. Terra e violenze per produzioni disutili.



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "il manifesto" del 09 Giugno 2007

Terra e violenze per produzioni disutili.
La Coca Cola made in India ci ricasca. Come riferisce www.oneworld.net, una
missione in loco dell'associazione India Resource Center con base negli Usa
ha trovato che nello stato indiano dell'Uttar Pradesh diversi impianti di
produzione del noto bibitone utilizzano terre comunitarie come discariche
per gli scarti chimici solidi e riversano acque reflue non depurate nei
canali che alimentano il fiume Gange. Già nel 2003, l'ente statale Central
Pollution Control Board of India controllò otto impianti di imbottigliamento
in giro per il paese e trovandovi livelli elevati di metalli pesanti -
piombo, cadmio, cromo - ordinò alla compagnia di trattare scarti e acque
reflue.
Pochi giorni fa la multinazionale di Atlanta ha annunciato il sostegno a un
piano ambientale di 20 milioni di dollari per proteggere sette dei bacini
fluviali più a rischio al mondo. Il solito green washing, l'ha definito
l'India Resource Center: «Coca Cola deve riconoscere di essere parte del
problema e non della soluzione, quanto a insostenibilità idrica in India e
altrove». La multinazionale dell'effimero zuccherato, con l'acqua ha molto a
che fare: non solo quella necessaria a produrre la bibita (soprattutto
nell'irrigazione della canna da zucchero da cui si estrae uno dei suoi
componenti), ma anche perché è ormai fra le regine dell'acqua in bottiglia,
il gigantesco business che ogni anno a livello mondiale assorbe - secondo
l'Earth Policy Institute - incredibili 100 miliardi di dollari, quando con
una somma molto inferiore si potrebbe assicurare l'accesso all'acqua
potabile a mezzo miliardo di persone.
La nota bevanda è sotto pressione: negli ultimi sei mesi 25 università
anglosassoni l'hanno estromessa dalle onnipresenti macchinette, in seguito
alle denunce di furto dell'acqua comunitaria nei villaggi nel Kerala (India
del Sud) e di repressione antisindacale in Colombia.
E passando dalla Coca Cola alla coca e dall'India alla Colombia ecco che,
come informa il quotidiano inglese Guardian, le immagini satellitari riprese
dall'ufficio della Casa Bianca per il controllo delle droghe danno un brutto
colpo al Plan Colombia patrocinato dagli Usa per la sedicente lotta alla
droga: la coltivazione della materia prima della cocaina è cresciuta dell'8
per cento l'anno scorso, e del 27 per cento da quando, nel 1999, fu varato
il Plan Colombia inizia con l'obiettivo di dimezzare la produzione di coca
colombiana entro cinque anni, con operazioni militari (e paramilitari) e
fumigazioni aeree - più volte denunciate da organizzazioni contadine,
ambientaliste e per i diritti umani per il loro impatto sulla salute e sulle
coltivazioni.
Ma per i villaggi colombiani tartassati dalla violenza negli ultimi anni si
è profilata un'altra tragedia: gruppi paramilitari stanno estromettendo
indigeni e coltivatori dalle loro terre per far posto alle piantagioni di
palma da olio, materia prima per i «carburanti verdi» la cui domanda estera
cresce. Quattro anni fa il paese non produceva un solo litro di agrodiesel,
oggi è arrivato a 1,2 milioni al giorno, si è vantato il presidente Alvaro
Uribe. Ma lo stesso governo ha dichiarato che in certe aree l'80 per cento
della terra a palma da olio ha titoli irregolari. Secondo le denunce delle
organizzazioni indigene, di Christian Aid e della stessa Fedepalma,
federazione nazionale dei produttori di olio di palma, il nuovo business fa
gola a grosse compagnie, ai paramilitari di destra e forse anche a gruppi
armati di diverso e opposto schieramento. A differenza della coca, finora il
principale introito dei gruppi armati, la palma da olio è perfettamente
legale anzi incoraggiata e al riparo dal Plan Colombia e dalle sue
fumigazioni. Ogni anno, secondo l'Alto Comm.Onu per i rifugiati, dalle zone
in cui si coltiva sempre più palma (sulla costa caraibica) fuggono dalle
minacce e dalle aggressioni 200 mila persone, aggiungendosi ai tre milioni
di colombiani che nei decenni hanno lasciato le loro case.
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