La realtà di una "economia altra"



La realtà di una “economia altra”
Editoriale di Alberto Castagnola
su www.faircoop.it/fairwatch.htm da lunedì 11 settembre
 
Le esperienze di una economia diversa da quella attualmente dominante sono
in via di diffusione ormai da molti anni, in pratica da quando gli aspetti
più negativi dei processi di industrializzazione su scala internazionale e
di imposizione dei modelli di consumo illimitato hanno coinvolto la metà di
popolazione mondiale in grado di percepire e spendere un reddito e sono
emersi gradualmente in tutta la loro drammaticità. Nello stesso periodo è
aumentata e si è diffusa la coscienza della gravità dei danni inferti
all’ambiente e della insostenibilità del modello complessivo, pena la
irrecuperabilità di molti meccanismi fisici e biologici del pianeta.
A questa prospettiva drammatica a scadenza ravvicinata si sono aggiunte
negli ultimi anni guerre e terrorismi, le cui cause sono da rintracciare
nella sempre più grave situazione in cui versano più di tre miliardi di
persone escluse di fatto dal mercato globale e che non vedono possibilità
concrete di miglioramento delle loro condizioni di vita caratterizzate da
povertà e povertà estrema.
I tentativi di avviare attività economiche che non rispondano alle stesse
logiche del sistema dominante non rispondono quindi ad astratte esigenze
filosofiche o etiche di un mondo diverso, ma cercano di garantire la
sopravvivenza ad una larga parte dell’umanità sofferente e al pianeta che la
ospita. Non si persegue un sogno ma si cerca di inventare meccanismi
radicalmente diversi, anche nei casi in cui le attività intraprese hanno
rapporti con il mercato e continuano ad essere esposte alle sue molteplici e
ben pianificate attrazioni.
Questa differenza di fondo spiega insieme sia la molteplicità delle strade
percorse, sia l’esigenza di sperimentare formule diverse, tutte da
rispettare e sostenere finché un valido modello profondamente alternativo
non avrà preso forma e consistenza (o forse più modelli dovranno sostituire
quello attuale).
E’ questo il motivo per cui in questa fase ancora embrionale sono
particolarmente temibili le approssimazioni e le confusioni e soprattutto i
tentativi del sistema di riportare i “ribelli” alle sue categorie
(essenziali per la sua sopravvivenza). E’ per queste ragioni che le
modifiche che si cerca di apportare alle imprese per renderle “socialmente
responsabili” non hanno nulla a che fare con l’economia alternativa o
solidale; analogamente, esperienze come le cooperative o il terzo settore
sono difficilmente confrontabili con le caratteristiche che l’altra economia
cerca di mettere a punto. 
Contemporaneamente, errori, incertezze e fragilità delle iniziative avviate
nel sud del mondo e nei paesi occidentali devono essere rispettate in quanto
potrebbe essere ricercato nella loro affermazione e diffusione il
salvataggio del pianeta. Oggi queste affermazioni suonano quasi ridicole
tenendo conto delle dimensioni piccolissime del settore sperimentale. Nei
prossimi anni, con l’acuirsi delle crisi e il moltiplicarsi dei conflitti,
percorrere le vie della solidarietà invece di quelle del profitto ad ogni
costo potrebbe rivelarsi l’unica soluzione alla quale ricorrere in tempi
brevi.
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