rassegna stampa: Filiera corta, anzi, cortissima



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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Da Il Manifesto - 8/3/06, di Marinella Correggia
Filiera corta, anzi, cortissima.
Il progetto «filiera corta» consente una riduzione ai minimi termini del
sistema distributivo e della distanza fra il campo e la bocca

La Cina coltiva in modo biologico il 4,4% del riso, il 6,6% della frutta, il
16,3% del tè e via dicendo; è al secondo posto al mondo per superficie
agricola coltivata a biologico, dopo l'Australia. Ne riferisce il bollettino
(italiano: dell'Associazione per l'agricoltura biologica) bio@gricultura
notizie. Tre le principali categorie di consumatori interni: 20-40enni di
educazione e reddito medio alti; gruppi specifici come donne incinte,
neonati e bambini; acquirenti istituzionali. Il valore della produzione bio
made in China è attualmente pari a circa 700 milioni di dollari e nel 2004
il valore delle esportazioni è stato pari a 350 milioni: la metà del totale
prodotto, e si stima una crescita dell'export al ritmo del 10% annuo. Del
resto a conoscere un boom è tutto il bio-global: il commercio internazionale
di alimenti certificati bio, che però solcano i cieli e gli oceani
diventando ecopesanti e sancendo una distanza enorme - anche dal punto di
vista geografico - fra produttori e consumatori, sconosciuti fra loro e
spesso vittime dell'agribusiness. Tutto il contrario è il progetto «filiera
corta», che si sta diffondendo anche in Italia ed è da tempo presente negli
Stati uniti, in Brasile, in Francia ecc. L'aggettivo ha una doppia valenza:
riduzione ai minimi termini del sistema distributivo (mercati diretti dal
produttore al consumatore, mentre il canale lungo o ultralungo prevede molti
più passaggi perfino per i prodotti non trasformati come frutta e ortaggi
freschi); riduzione ai minimi termini della distanza fra il campo e la bocca
(è l'idea della «frutta e verdura a chilometri zero»). Un'alternativa
preziosa dal punto di vista ecologico e sociale, soprattutto quando riesce a
collegare piccoli coltivatori di alimenti di qualità e consumatori non
abbienti, avvantaggiando entrambi sia dal punto di vista economico che da
quello della qualità, minimizzando le «carovane di Tir» su e giù per
l'Italia e conservando all'agricoltura anche territori prossimi a grandi
città che altrimenti sarebbero soggetti alla speculazione. In tutta Italia i
gruppi d'acquisto solidale (Gas) nascono e crescono come funghi,
autorganizzandosi. Ma una situazione pilota per accorciare la filiera è
rappresentata dall'area di Roma. Tre milioni di cittadini e, tutto intorno,
migliaia di coltivatori su una superficie agricola di 50.000 ettari, che
rappresentano tuttora quasi la metà del territorio comunale totale. Due
mondi che si sfiorano ma che negli ultimi decenni la globalizzazione e i
supermercati hanno allontananato. Contribuisce a rimetterli in contatto lo
«Sportello Filieracorta » (sottotitolo: «Acquistare direttamente dal
produttore agricolo ti conviene»), nato il 7 novembre 2004 e illustrato ieri
nella capitale nel corso di un convegno organizzato dall'Associazione
Cultura ambiente e dalla Provincia di Roma. Con un numero verde (800 032667)
e un ufficio aperto al pubblico alcuni giorni della settimana, lo Sportello
è gestito dall'Aiab e sostenuto dalle istituzioni: il Comune e la Provincia
di Roma. Il ruolo delle istituzioni ha fatto la differenza, dando più
visibilità e un avallo ufficiale alla filiera corta, facendola uscire dalla
nicchia: vi partecipano anche comitati di quartiere di zone popolari che con
l'acquisto diretto di cassettoni e casse ottengono prodotti bio e buoni
quasi al prezzo del discount. E intanto diversi coltivatori della provincia
hanno deciso di associarsi per offrire «cassettoni» completi, nel rispetto
della stagionalità locale, il che rende la spesa più «pensata». Stanno
facendo scuola altrove. Altro esempio da copiare: il Comune di Roma ha
riservato il 15% degli spazi nei mercati rionali ai coltivatori diretti.
Riuscirà la filiera corta, locale, stagionale a erodere un trend che vede,
secondo i recentissimi dati dell'Istituto Ismea, aumentare le percentuali di
spesa ortofrutticola nei supermercati e nei discount, diminuire gli acquisti
globali di frutta e verdura ma aumentare quelli della «quarta gamma»
(ortaggi e frutta imballati, lavati, pronti) e della «quinta gamma» (i
precotti)?
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