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[REP] Nike, ecco le fabbriche lager
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23 feb. 2001
"Nike, ecco le fabbriche lager"
Dossier choc sui fornitori indonesiani della multinazionale
E' stata l'azienda stessa a pubblicizzare il rapporto che denuncia molestie
sessuali e paghe bassissime: "Prenderemo provvedimenti"
STEFANIA DI LELLIS
Pochi minuti di ritardo si pagano con un'ora di pulizia delle latrine o
dieci giri di corsa nel cortile della fabbrica. Una promozione o un piccolo
aumento di stipendio con favori sessuali al capoturno. Per farsi visitare
da un medico non c'è un "prezzo" fissato, tanto è praticamente impossibile
riuscirci: un paio di operai l'hanno sperimentato sulla propria pelle,
sarebbero morti prima di poter vedere un dottore. Orrori d'ordinario lavoro
alle catene di montaggio da cui escono le scarpe più famose del mondo, le
Nike.
In 104 pagine di un rapporto choc, la "Global Alliance for Workers and
Communities" una società noprofit che fa monitoraggio in fabbriche e uffici
da un capo all'altro della Terra racconta gli abusi subiti dai dipendenti
delle aziende che in Indonesia producono per conto del colosso americano
dell'abbigliamento sportivo.
Il 7,8 per cento della lavoratrici (che costituiscono l'85 per cento della
manodopera delle aziende indonesiane fornitrici della Nike) ha denunciato
di aver patito molestie sessuali verbali, il 2,5 per cento anche violenze o
palpeggiamenti. Il 30 per cento degli operai ha raccontato di soprusi, il
14 per cento di veri e propri maltrattamenti fisici da parte di superiori;
il 96 per cento ha spiegato di ricevere una paga insufficiente, tra il 60 e
il 90 per cento degli interpellati ha definito difficile l'accesso alle
cure mediche o l'ottenimento di permessi per cure. C'è anche chi ha
riferito di essere potuto andare in ospedale solo dopo essere crollato sul
lavoro per un collasso.
Il dossier si basa su quattromila interviste raccolte in nove stabilimenti
di calzature, abiti e attrezzature. Un'inchiesta di proporzioni
ragguardevoli favorita, pubblicizzata e in parte finanziata proprio dalla
Nike. Nulla di strano: le multinazionali che vedono il proprio fatturato
strettamente legato all'immagine hanno ormai smesso di incassare
passivamente denunce per il trattamento disumano dei lavoratori nelle
aziende partner nel Sud Est asiatico o nel resto dei paesi in via di
sviluppo che assicurano costi concorrenziali.
Già quattro anni fa la Nike aveva autorizzato la pubblicazione di un
rapporto sull'argomento, ma i toni edulcorati del testo avevano attirato
numerose critiche. Nell'ottobre del '99 l'avversaria Reebok aveva rotto il
tabù e aveva diffuso i risultati scioccanti di un'inchiesta sulle "sue"
fabbrichelager in Indonesia. La Nike ora segue l'esempio. Non solo:
consacra regolarmente una parte del suo budget a operazioni che rendano il
marchio a prova di contestatori antiglobalizzazione. Ad esempio, per la
Global Alliance che riceve denaro anche dalla Banca mondiale e da altri
gruppi privati, come la Gap ha stanziato circa 16 miliardi di lire in
cinque anni. Paga poi la quota annuale di 200 milioni di lire per far parte
della "Fair Labor Association". Nel novembre del '99, dal suo sito web è
arrivata a invitare gli studenti offrendo biglietto aereo e soggiorno ad
andare ispezionare le fabbriche che producono le sue scarpe e i suoi
vestiti nel Terzo Mondo.
Nessuna reazione scomposta, dunque, al rapporto pubblicato ieri. Il
vicepresidente Dusty Kidd ha riconosciuto «che nessun lavoratore dovrebbe
essere soggetto alle condizioni descritte nel dossier», ma la portavoce
Maria Eitel ha sottolineato che «se molti dei risultati della ricerca sono
allarmanti, questo era esattamente ciò che volevamo scoprire». Ora la
compagnia ha annunciato che affronterà il problema dando il via a corsi
destinati sia ai dirigenti che agli operai per prevenire le molestie
sessuali, avvierà un esame accurato e urgente sul livello dei salari,
esaminerà il peso degli straordinari e l'accesso all'assistenza medica.
Global Alliance progetta di tornare in Indonesia il prossimo anno per
verificare l'efficacia delle misure adottate dalla Nike. In passato
l'organizzazione ha condotto inchieste sugli stabilmenti legati alla
società anche in Thailandia e in Vietnam; alla fine di quest'anno dovrebbe
pubblicare i dati raccolti in Cina.
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