rassegna stampa: CARENZE DI CIBO E IMPENNATE DEI PREZZI: UNA MINACCIA PER L'UMANITA'



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "comedonchisciotte.org " - Sabato 9 Febbraio 2008
CARENZE DI CIBO E IMPENNATE DEI PREZZI: UNA MINACCIA PER L'UMANITA'.
(di NAOMI SPENCER - World Socialist Web Site)

Secondo un recente rapporto della FAO, l’aumento vertiginoso dei prezzi
alimentari in tutto il mondo è stato accompagnato da una drastica
diminuzione delle derrate alimentari. Lo scorso 17 dicembre, l’organismo
internazionale ammoniva la popolazione mondiale circa un deficit alimentare
“estremamente grave e senza precedenti”, in agguato per miliardi di persone.

I prezzi alimentari stimati dalla FAO sono incrementati quest’anno del 40%,
oltre il già elevato 9% stimato l’anno scorso e, nei paesi più poveri, le
importazioni sono aumentate del 25%. I prezzi delle coltivazioni primarie
quali grano, riso, mais e soia, hanno tutte subìto un drastico aumento nel
2007, facendo lievitare anche i prezzi di carne, uova e prodotti caseari,
con il risultato di una inflazione di tutto il mercato alimentare.

Comprendere simili meccanismi significa addentrarsi in un sistema complesso
di sviluppi quali la rapida urbanizzazione delle popolazioni ed una costante
crescita della domanda di derrate alimentari nei paesi in via di sviluppo
che giocano un ruolo chiave, quali Cina e India, la speculazione nei
mercati, le condizioni climatiche ed altri disastri naturali associati ai
cambiamenti climatici.

A causa della natura composita e a lungo termine di tutti questi fattori, i
problemi dell’aumento dei prezzi e della minore disponibilità di derrate
alimentari, non sono di tipo temporaneo o una tantum, e non possono essere
interpretati come fluttuazioni cicliche dell’offerta e della domanda.

Le riserve mondiali di cereali stanno gradualmente diminuendo. Lo scorso
anno le riserve di grano sono scese all’11%. Secondo la FAO si tratta del
livello più basso sin dal 1980, e secondo il Dipartimento dell’Agricoltura
degli USA (USDA) le riserve di grano mondiali sono diminuite fino ai livelli
minimi registrati nell’arco di 47 anni. Dai numeri evidenziati dalla FAO, il
decremento è pari al valore di 12 settimane di consumo a livello mondiale.

Il Dipartimento ha allertato sul fatto che i coltivatori di grano negli USA
hanno già venduto più del 90% rispetto al quantitativo previsto da destinare
alle esportazioni fino a giugno 2008. Il che si traduce in conseguenze molto
gravi per i paesi più poveri, le cui diete alimentari si basano
essenzialmente sulle importazioni di grano e cereali provenienti dagli USA e
da altri produttori maggiori.

Più di 850 milioni di persone al mondo soffrono di denutrizione cronica e di
altre carenze associate, dovute alle condizioni di estrema povertà. Secondo
la FAO, 37 paesi — di cui 20 in Africa, 9 in Asia, 6 in America Latina e 2
nell’Europa dell’Est — si trovano attualmente ad affrontare insufficienze
nelle produzioni di derrate alimentari.

I più colpiti vivono nei paesi largamente dipendenti dalle importazioni. I
più poveri, le cui diete consistono prevalentemente di derivati del grano e
che già spendono gran parte del reddito per i beni primari – fino all’80% in
alcune aree, sono i più vulnerabili. I prezzi sempre in aumento porteranno
un notevole deterioramento nelle diete di questi settori della popolazione

La crisi del settore alimentare amplifica ulteriormente il malcontento della
società ed aumenta le possibilità di sommosse civili. Osserva poi la FAO: in
paesi quali Marocco, Uzbekistan, Yemen, Guinea, Mauritania e Senegal si è
andata sviluppando una forma di irrequietezza politica “direttamente
collegata ai mercati alimentari”. Lo scorso anno, i prezzi dei cereali hanno
scatenato rivolte in diversi altri paesi, compreso il Messico, dove i prezzi
delle tortilla erano aumentati fino al 60%. In Italia, l’aumento dei prezzi
della pasta, ha suscitato le proteste nazionali. Il malcontento in Cina è
stato collegato alle carenze dell'olio da cucina

Oltre al costo delle importazioni, guerre e sommosse civili, molteplici anni
di siccità ed altri disastri naturali, l’impatto dell’AIDS, costituiscono
tutti fattori che hanno contribuito ad arrestare il meccanismo delle derrate
alimentari.

Sia l’Iraq che l’Afghanistan si trovano entrambi ad affrontare delle gravi
carenze a causa dell’invasione americana e della costante occupazione. I
paesi dell’Africa del Nord sono severamente colpiti da questa fluttuazione
dei prezzi poiché numerose derrate alimentari di prima necessità dipendono
fortemente dalle importazioni del grano.

Lo stesso dicasi per i paesi dell’ex Unione Sovietica. Il popolo russo
spende più del 70% del reddito per mangiare. Il prezzo del pane in
Kyrgyzstan quest’anno ha segnato un aumento di più del 50% ed il governo si
è trovato obbligato ad attingere alle riserve di emergenza per fare fronte
alla crisi nelle aree più povere.

In Bangladesh, i prezzi alimentari, da luglio, aumentano mensilmente dell’
11%. Lo scorso anno, il riso ha registrato un aumento di quasi il 50%.

Nei paesi del Centro America, osserviamo un aumento del 50% del grano e del
mais. Anche diversi paesi del Sud America sono stati colpiti dall’aumento
dei prezzi, costringendo i governi nazionali ad esonerare le importazioni
dal pagamento delle tasse. Il governo boliviano, per esempio, ha schierato
le forze militari per gestire produzioni alimentari del pane su scala
industriale.

Tutti i governi nazionali sono vivamente consapevoli della possibilità di
disordini civili in caso di carestie e molti hanno adottato misure, seppure
minime, tese ad affrontare la crisi a breve termine, come per esempio la
riduzione delle tariffe sulle importazioni o l’applicazione di restrizioni
alle esportazioni. Il 20 dicembre, la Cina si è sbarazzata degli sconti
sulle esportazioni alimentari con l’intento di evitare carenze alimentari a
livello nazionale. Anche Russia, Kazakistan, e Argentina hanno avviato
controlli sulle esportazioni.

Tuttavia, tali politiche non sono in grado di far fronte in modo adeguato
alla crisi del sistema alimentare poiché esse affrontano le cause soltanto
al manifestarsi di sintomi immediati. Dietro il fenomeno dell’inflazione vi
sono dei meccanismi intermedi molto complessi insiti nei mercati globali,
nonché una incompatibilità di base tra il sistema capitalista e le necessità
di miliardi di poveri e delle classi dei lavoratori.

La volatilità dei mercati finanziari, guidata dalla speculazione su capitali
e titoli, si va ad intersecare con i mercati aventi un peso diretto sul
settore agricolo. Mentre il mercato immobiliare statunitense è al collasso,
con problemi connessi nel mercato finanziario e minacce di recessione, la
speculazione si è spostata al mercato esacerbando l' inflazione dei beni di
prima necessità e le materie prime. Il mercato alimentare internazionale è
particolarmente incline alla volatilità poiché i prezzi correnti sono
largamente influenzati dalla speculazione finanziaria sui prezzi futuri,
cosa che innesca un meccanismo a circolo vizioso: più volatilità, più
speculazione.

I futuri prezzi del grano sono un esempio lampante di tale ciclo disastroso.
Il 17 dicembre le speculazioni sul quantitativo di grano e riso destinato
alla distribuzione nell’anno fiscale fino a marzo 2008 ha spinto i prezzi ai
massimi storici, come da registrazioni del Board of Trade di Chicago. Il
prezzo del grano è salito a più di $10/bushel, in previsione di future
carenze e dell'inflazione, il doppio rispetto all’inizio del 2007.

Il Giappone, il più grande importatore di grano in Asia, il 19 dicembre ha
annunciato la possibilità di un aumento dei prezzi del grano pari al 30%. Lo
stesso giorno, i funzionari del governo indiano allertavano sull’imminenza
di seri problemi nell’approvvigionamento di derrate alimentari, dovuti,
stando alle affermazioni del Primo Ministro Manmohan Singh, a “nubi sui
mercati finanziari globali conseguenti alla crisi del mercato sub-prime”.

Anche i prezzi del mais e della soia hanno subìto degli aumenti vertiginosi
ripercuotendosi, naturalmente, sul prezzo dei biocarburanti. Come affermava
il Financial Times in un articolo del 17 dicembre, tutto questo si traduce
in una “inflazione in crescente aumento e una minore capacità delle banche
centrali nel mitigare la flessione economica”.

I prezzi più elevati dei carburanti, infine, comportano prezzi alimentari
più alti, in virtù anche dei maggiori costi di spedizione, in particolare
per quei paesi che importano i più grandi quantitativi di derrate
alimentari. I costi di spedizione sono aumentati di circa l’80% dall’anno
scorso, registrando un aumento del 57% dal mese di giugno (dati del Baltic
Dry Index).

Secondo alcuni dati FAO, l’incremento dei costi di spedizione ha avuto l’
effetto di dis-integrare il mercato mondiale in alcune aree poiché molti
paesi importatori hanno scelto di acquistare da fornitori più vicini, dando
luogo a “prezzi a livelli regionali o locali non in linea con i livelli
mondiali”.

L’aumento del prezzo del petrolio non ha colpito soltanto i costi dei
trasporti e delle importazioni. Ha avuto inoltre un impatto diretto sui
costi nei processi di lavorazione del settore agricolo. Infatti, si sono
registrate impennate dei prezzi anche per quel che concerne i fertilizzanti,
il cui ingrediente principale, l'azoto, deriva dal gas naturale. Aumenta il
prezzo del petrolio, aumentano – simultaneamente – la domanda di fonti
primarie di biocarburanti quali soia, mais e canna da zucchero. Il tutto si
traduce in una diminuzione delle riserve di cibo.

Negli USA, dal 2003, si è registrato un raddoppio dell’utilizzo del grano
per l’etanolo e, secondo la FAO, se ne prevede un ulteriore incremento dai
55 milioni di tonnellate metriche ai 110 milioni entro il 2016. Il governo
statunitense è più ambizioso. Il 19 dicembre, il Presidente Bush siglava una
nuova proposta di legge sull’energia la quale prevede un mandato per l’
espansione della produzione nazionale di biocarburanti cinque volte
superiore nei prossimi 15 anni, fino ad oltre 36 miliardi all’anno. Negli
USA, già un terzo dei raccolti di cereali è destinato alla produzione di
etanolo, superando la quantità di quello destinato ai mercati alimentari
mondiali.

Mentre negli USA sempre più terre da coltivazioni sono destinate alla
produzione di cereali per etanolo, altre tra le più importanti regioni
agricole si trovano a dover far fronte alle catastrofi naturali causate dai
cambiamenti climatici. Australia e Ucraina, entrambi grandi esportatori di
grano, hanno sofferto condizioni climatiche estreme che hanno danneggiato i
raccolti. In Australia, una prolungata siccità ha costretto molti
coltivatori a vendere le loro terre.

Secondo studi recenti, poiché si prevede nei prossimi 50 anni un aumento
delle temperature di circa 1 – 2° C., i paesi più poveri potranno perdere
135 milioni di ettari (334 milioni di acri) di terra coltivabile a causa
della siccità. Nuovi studi, pubblicati di recente nella rivista scientifica
Proceedings of the National Academy of Sciences, evidenziano il carattere
limitativo di tali stime nonché l’impatto dei mutamenti climatici sulla
produzione alimentare sia stato probabilmente eccessivamente semplificato.

Secondo il ricercatore Francesco Tubiello, della NASA/Goddard Institute of
Space Studies, le complicazioni causate dai cambiamenti climatici possono
essere di gran lunga più serie: “Simili proiezioni evidenziano una curva
piuttosto piatta, trattandosi tuttavia di una curva come mai ce ne sono
state nella storia dell’umanità. Le cose – afferma Tubiello - accadono all’
improvviso e, allora, possono prenderti davvero alla sprovvista”.

Lo studio di Tubiello si focalizza su eventi climatici estremi
potenzialmente devastanti per i raccolti se in coincidenza con i periodi di
germinazione e fioritura, come è stato il caso in Italia nel 2003. Tubiello
osserva che i campi coltivati a grano, lungo la valle del Po, sono diminuiti
del 36% in seguito ad un aumento di temperatura registrato in Italia pari a
6° rispetto alla media a lungo termine.

Oltre alla soglia di sopravvivenza delle piante, i ricercatori hanno
iniziato a studiare gli effetti delle temperature più alte sulla fisiologia
e sulle patologie del bestiame così come sul diffondersi di casi di peste,
muffe e virus nelle zone tropicali. Secondo lo studio del Goddard Institute,
la bluetongue, [Lingua Blu o febbre catarrale N.d.t.] una malattia infettiva
che colpisce buoi e pecore, andrà oltre i confini dei tropici per arrivare
fino ad altre aree, incluso il Sud dell’Australia. Secondo l’Earth Institute
presso la Columbia University, le temperature più elevate porteranno ad un
aumento della infertilità del bestiame e a ridotti rendimenti giornalieri
nel settore caseario.

Quali sono i risvolti di tali studi? Certo, una maggiore capacità di
adeguamento da parte del settore agricolo alle diverse condizioni potrà
inizialmente servire da palliativo al surriscaldamento globale. Tuttavia,
nei decenni a venire, l’impatto dei cambiamenti climatici sul mercato
alimentare si intensificherà in modi improvvisi e catastrofici che l’intero
sistema capitalista, in virtù proprio di una impreparazione da parte delle
élite che ne fanno parte, non sarà in grado di prevenire.

Titolo originale: "Severe food shortages, price spikes threaten world
population" - Fonte: http://www.wsws.org
(Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA POMPEI)
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