Re:Il lavoro e il consumo critico



ciao
come chiesto da nicoletta, invio in lista una riflessione-relazione sull'incontro sul lavoro che i bdg toscani (e non solo) hanno fatto domenica scorsa.
ciao
patrizio 

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Lavori in corso, il titolo dell´incontro regionale organizzato dal gruppo fiorentino dei Bilanci di giustizia. Sottotitolo: il lavoro nobilita, il lavoro stanca, due definizioni in contrasto tra loro ma estremamente presenti, più o meno, nelle scelte lavorative di ciascuno.
Il lavoro nobilita quando permette di esprimere il meglio di noi stessi, di lasciare un segno positivo.
Il lavoro stanca quando ci fa sentire di perdere tempo, di non essere al proprio posto.
Il lavoro impegna gran parte della nostra giornata, anzi, della nostra vita. Perché allora non interrogarci anche su questo tema? E´ relativamente facile comprare caffè equo, mele biologiche, lampadine a risparmio energetico. Invece, lavorare criticamente è possibile?

Il proprio lavoro
Nel nostro incontro abbiamo lavorato a gruppi, raccontandoci come il rapporto con il proprio lavoro, qualunque fosse, fosse cambiato nel corso degli anni, se ci rendeva o no soddisfatti, se e come influiva sulle relazioni. Sono state storie bellissime e vere piene di domande, ricerche, paure, maturazioni.
E´ stato molto bello rendermi conto che chi ha un animo in ricerca prima o poi si pone delle domande anche sul proprio lavoro. Domande che per qualcuno trovano risposta nel cambiarlo, per altri nel mettersi a cercarne  un altro, per altri ancora nel tenersi il proprio, insoddisfacente, perché monoreddito e con un mutuo da pagare. In ogni caso, sono sempre le domande che ci rendono vivi e che ci spingono a guardare oltre.

Il proprio tempo
Un mio ex collega, anni fa, scherzando mi disse "ma se stai più tempo con me che con tua moglie...". Caspita: era vero. Una frase che ancora oggi, dopo più di dieci anni, ricordo ancora con tutta la sua forza.
Sì, il tempo del lavoro è gran parte della nostra giornata e consuma buona parte delle nostre energie ed intelligenze. Sottovalutare tutto questo non ci rende giustizia. In questo tempo ci metto le ore lavorate, le ore di viaggio per arrivare e tornare a casa, le ore in cui questo continua ad essere presente nella nostra testa anche se fisicamente siamo lontani dall´ufficio.
Per alcuni è stato importante diminuire il tempo lavorato: con il part-time, con la rinuncia allo straordinario, con la scelta di fare lavori che lasciassero spazio anche per "altro".
Sono scelte che portano in ogni caso ad una diminuzione del proprio stipendio, magari non sono alla portata di tutti, ma che in ogni caso ci interrogano.

Il proprio contributo
E´ cambiato il mondo intorno a noi, ed è cambiata anche la percezione che abbiamo del lavoro. Un tempo il lavoro serviva a costruire qualcosa, a renderci partecipi di un progetto, a sentirci parte della "fabbrica". Oggi lavoro significa stipendio (se va bene), per cui lavorare in una fabbrica di biscotti, una banca o un supermercato non cambia un granché, anche perché spesso si è costretti a lavorare un po´ qua e un po´ là.
La differenza potrebbe essere data dal modo di relazionarsi con il lavoro, con i colleghi e con i clienti, ma il sentirsi parte di un progetto più grande non c´è.
Il nostro relatore ha parlato di come, in origine, il proprio lavoro era in stretta "reciprocità" con gli altri, conosciuti o sconosciuti. Nessuno era in grado di fare tutto, e ci si metteva in "relazione" con chi poteva dare quello che non avevamo: lo scambio poteva essere economico o "in natura", ma ci faceva parte di un tutto più ampio.

Le mie riflessioni
Ho iniziato a lavorare in una grande fabbrica meccanica, producendo macchinari per l´industria chimica e petrolifera. Era vent´anni fa. Nella mia ingenuità mi sentivo parte dello sviluppo delle popolazioni più povere, contribuendo al loro sviluppo industriale. Il tempo passava e in qualche maniera ho letto "lettera ad un consumatore del nord", e poi ancora e ancora altro.
Il mio lavoro cominciava a starmi stretto. Ci mettevo tutto il mio impegno. Lavoravo con un gruppo di colleghi affiatatissimo, e questo mi ha fatto andare ancora avanti.
Ma il tarlo continuava a rodermi dentro. 
La mia carriera andava avanti, ed ero abbastanza apprezzato per la mia competenza.
Firmavo petizioni contro l´inquinamento petrolifero, ma lavoravo per chi lo faceva. Cominciavo a non sopportarlo più.
Non è stato facile lasciare tutto questo. 
Oggi lavoro in un ente pubblico, dove cerco di fare un servizio.
Questo ha significato una sensibile diminuzione dello stipendio (di un terzo, più o meno), l´abbandono di qualsiasi riconoscimento e anche il fare un lavoro meno "intellettuale" e più "di fatica".
Ho potuto farlo, e ne sono contento. Ho più tempo libero per me, per la mia famiglia e per gli altri. E questo è il guadagno più grande.



Non tutti sono in grado di farlo, o almeno di farlo subito. Ci sono fasi della vita e impegni pressanti (mutui, figli, lavori precari, eccetera) che hanno bisogno della nostra responsabilità e probabilmente di farci lavorare anche dove non vorremmo farlo. L´importante è essere consapevoli che in ogni caso viviamo nelle contraddizioni, e difficilmente sono sanabili. Non siamo eroi, ma esseri inquieti e pieni di domande. E sono le domande che ci facciamo tutti i giorni e tutto il giorno (a casa, in ufficio, al supermercato, in auto, in biblioteca, all´ufficio postale) che un giorno, forse, ci faranno cambiare qualcosa, e quel qualcosa sarà una conquista, una roccia da cui partire per salire un altro gradino. Quando saremo pronti di nuovo.



Dimenticavo: non sono d´accordo con quello che veniva fuori dalla tua conversazione a cui accennava nicoletta in un precedente messaggio. 
E´ solo un punto di vista personale, sia chiaro, ma mi pare poco critico "sfruttare tutto quello che questo sistema può dare, soprattutto gli stipendi" per fare poi scelte di "consumo responsabile": in questo modo, alla stessa maniera, per esempio, perché accanirsi con le banche armate, con i giochini di borsa e cercare un´etica nell´economia? Potrei fare investimenti da pescecane e prendere  un sacco di interessi: dopo potrei acquistare più caffè equo? e mi sentirei meglio?
Posso essere "costretto" a lavorare in una fabbrica d´armi: dai debiti o dai carichi familiari o da quello che volete. Questo non dovrebbe impedirmi di vivere criticamente quello che sto facendo. 
Altra cosa è lavorarci perché mi pagano bene così posso permettermi scelte "alternative"...




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