rassegna stampa - Aviaria: aumentano i casi in Turchia.



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
--------------------------------------
tratto da "vita.it" - 20/01/06
Aviaria: aumentano i casi in Turchia.
I nuovi dati del Ministero della Sanita' turco
I casi di influenza aviaria accertati in Turchia sono aumentati nel corso
della notte da 21 a 24, i casi sospetti sono passati da 49 a 73 e le
province turche sospette di albergare il virus sono anch'esse aumentate nel
corso della notte scorsa di tre unita', passando da 25 a 28. Lo rende noto
questa mattina il Centro di coordinamento per l'aviaria del Ministero della
Sanita' turco, aggiungendo che restano, pero', ancora 13 le province turche
in cui la presenza del virus e' stata accertata.
------------------------------------
Tratto da "Panorama .it" - 20-12-05
Aviaria: l'enigma dei contagi cinesi.
Secondo vari esperti, in Cina le vittime del virus H5N1 sarebbero ben più
dei quattro casi ufficialmente dichiarati ».
Dopo Vietnam, Thailandia, Cambogia e Indonesia, anche in Cina sono stati
ufficialmente segnalati casi umani di influenza aviaria da H5N1 (in tutto,
in questi cinque paesi le vittime registrate dall'Oms sfiorano la
settantina).
I casi cinesi sarebbero finora quattro, due dei quali letali; e gli esperti
dell'Oms stanno lavorando con le autorità locali per accertare come è
avvenuto il contagio.
Ma davvero i casi cinesi di infezione sono soltanto quattro? Un numero così
basso, in un paese enorme e con un'alta promiscuità fra allevatori e
volatili, suscita perplessità tra gli esperti. A lanciare l'allarme, a un
recente congresso a Marburg, in Germania, il virologo Masato Tashiro,
responsabile del National institute of infectious diseases di Tokyo, centro
che coadiuva l'Oms.
Tashiro ha presentato una dettagliata tabella che riportava ben 300 vittime
umane cinesi dovute all'influenza aviaria, negli ultimi anni, affermando,
secondo le testimonianze di giornalisti ed esperti (come Hans-Dieter Klenk
dell'Università di Marburg), di avere ricevuto le informazioni da fonti non
ufficiali nel corso di una visita in Cina.
Nell'occasione, inoltre, come riporta il Frankfurter Allgemeine, Tashiro
avrebbe duramente criticato le autorità cinesi, responsabili di nascondere
la serietà della situazione agli occidentali. E la notizia è apparsa nei
giorni successivi su ProMed-mail, il bollettino web dell'International
society for infectious diseases.
In seguito Tashiro ha corretto il tiro: «Ho detto che i casi umani ufficiali
di infezione da H5N1 in Cina sono quelli confermati in laboratorio e che
potrebbe trattarsi solo della punta visibile. È ragionevole ritenere che, a
causa della scarsa sorveglianza e dell'inadeguato sistema informativo, i
casi siano molto più numerosi.
Non penso però che le autorità cinesi stiano nascondendo la verità: dai
tempi della sars, collaborano con l'Oms». L'esperto giapponese ricorda
comunque che esse hanno limitate capacità di monitorare tutti gli eventuali
casi umani, soprattutto nelle zone rurali.
Già alla fine dell'estate un gruppo di anonimi ragazzi cinesi aveva scritto
sul blog Boxun della morte di 121 persone a causa del virus H5N1, nella
stessa area del lago Qinghai in cui si stava manifestando una moria di
volatili colpiti dallo stesso virus (la fonte è il settimanale inglese New
Scientist).
I conti non tornano, dunque: del resto anche Science affronta la questione.
Alcuni osservatori, infatti, giudicano non casuale che le autorità cinesi
abbiano annunciato una campagna di vaccinazione del pollame (più di 5
miliardi di polli, anatre, oche) giusto il giorno prima di riconoscere il
caso numero uno, mortale, di influenza da H5N1.
Sempre su Science il portavoce dell'Oms a Pechino, Roy Wadia, esprime dubbi
sul numero effettivo di casi umani riportati dalle autorità cinesi: «Un vero
enigma, visto che il virus H5N1 è in circolazione in Cina almeno dall'inizio
del 2004».
Che si ripeta il copione già visto ai tempi della sars, quando il governo di
Pechino tenne nascoste al mondo le reali dimensioni dell'epidemia di
polmonite atipica?
----------------------------------------------------------------------------
-


Tratto da "Le Monde Diplomatique" dicembre 2005
Alain Lecourieux
Lo spettro di un'epidemia mondiale di influenza aviaria - ineluttabile
secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che evoca centinaia di
milioni di morti - ha fatto rinascere, negli Stati uniti, i dibattiti sulla
necessità di aggirare i brevetti sulle medicine. Le autorità temono in
effetti che la casa farmaceutica svizzera Roche, che ha l'esclusiva mondiale
sulla produzione di Tamiflu, si riveli incapace di fornire un
approvvigionamento sufficiente di questo anti-virale, di cui del resto nulla
permette di stabilire con precisione l'efficacia contro il virus Hsni.
Ma queste epidemie virtuali (ricordiamo che nell'ottobre 2001, dopo il caso
di bioterrorismo con le buste contaminate dal bacillo del carbonio,
Washington aveva allo stesso modo evocato la sospensione dei brevetti della
casa farmaceutica tedesca Bayer sulla ciprofloxacina) tendono a mascherare
le vere malattie che, da sole, dimostrano sufficientemente l'iniquità del
sistema attuale dei brevetti.
Per lottare contro l'aids, la tubercolosi, la malaria e il gran numero di
malattie croniche che interessano la sanità mondiale, i paesi del sud
subiscono sempre più gli effetti del preciso inquadramento che ha fatto
seguito all'accordo sugli Aspetti dei diritti della proprietà intellettuale
legati al commercio (Trips). Questo accordo, firmato il 15 aprile 1994,
impone una regolamentazione a vocazione universale; entrerà in vigore per
tutti i paesi all'inizio del 2005 e proibirà di produrre delle copie
generiche di medicinali recenti.
A Doha (Qatar), nel 2001, dopo una forte mobilitazione internazionale, era
stato raggiunto un compromesso: in caso di emergenza sanitaria, diventa
possibile per un paese far fabbricare medicinali generici facendo ricorso a
una «licenza obbligatoria» - strumento giuridico che permette di sospendere
l'esclusività del brevetto, in contropartita del versamento di una royalty
intorno al 5%.
Tuttavia, soltanto i paesi che dispongono di una capacità industriale nel
settore farmaceutico - Sudafrica, Brasile, India, Kenya, Thailandia - sono
interessati a questo compromesso. Per gli altri, un'altra soluzione avrebbe
dovuto essere proposta prima della fine del 2002.
Le multinazionali farmaceutiche hanno però fatto pressione sul governo
statunitense perché facesse marcia indietro sui termini di questa
dichiarazione. Il 20 dicembre 2002, Supachai Panitchpakdi, allora direttore
generale dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), ha constatato che
«gli stati membri del Wto non sono giunti a un accordo sull'accesso ai
medicinali nei paesi poveri che non hanno capacità industriale». Un accordo
temporaneo, firmato il 30 agosto 2003 al Wto, aveva però rimosso alcuni
ostacoli, almeno sulla carta: in deroga alle regole dell'accordo sui Trips,
a un paese non produttore veniva riconosciuto il diritto ad «importazioni
parallele» di medicinali generici in provenienza da un paese che li
fabbrica. Per questo erano necessarie due licenze obbligatorie: una in
ciascuno dei due paesi implicati. Ma ad eccezione del Canada (dove esiste
un'importante industria di generici), nessun grande paese esportatore si è
impegnato ad intraprendere questa strada.
Invece di farlo, gli Stati uniti hanno moltiplicato gli accordi commerciali
bilaterali cosiddetti «Trips+», che limitano sistematicamente il ricorso ai
generici, e vanno al di là delle clausole del Wto in materia di protezione
dei brevetti. L'accordo del 2003, svuotato della sua sostanza, si è rivelato
privo di effetti.
Per questo motivo il gruppo dei paesi africani della Wto ha chiesto che la
conferenza di Hongkong adotti una riforma di questo accordo, che permetta di
uscire dal regime delle clausole obbligatorie - la cui inefficacia è ormai
dimostrata - e di mettere in opera un sistema di regole stabili per l'import
e l'export di medicinali generici.
Alla riunione del Consiglio del Trips del 25 ottobre scorso, gli Stati uniti
si sono rifiutati di andare al di là di transposizioni tecniche dell'accordo
del 2003. Sono stati seguiti da Australia, Giappone, Nuova Zelanda, Svizzera
e Unione europea. Invece, gli africani hanno ottenuto l'appoggio di Brasile,
Cina, India, Giamaica e Filippine.
Numerosi paesi del Sud, al di là di questi aspetti sanitari, considerano gli
accordi sulla proprietà intellettuale come strumenti di dominio.
In effetti, comportano clausole leonine: obbligo di acquisto presso il
detentore del brevetto; determinazione, da parte del detentore, dei modi di
produzione; obbligo, per il ricevente, di comunicare al detentore i
perfezionamenti realizzati sul procedimento di produzione; limitazione o
proibizione delle esportazioni.
L'industria farmaceutica si disinteressa dei pazienti non redditizi: solo il
10% della ricerca medica riguarda malattie che colpiscono il 90% della
popolazione della terra. Tuttavia, ogni anno, 11 milioni di persone muoiono
di malattie infettive, per mancanza di accesso alle medicine essenziali e 2
miliardi non hanno accesso alle cure sanitarie. La conferenza di Hongkong
dirà se questi dati sono altrettanto pertinenti di quelli che riguardano gli
utili del complesso medico-industriale.
note:* Ingegnere civile delle Mines.
(Traduzione di A.M.M)
-------------------------------------------
N.B. se volete essere cancellati da questa lista scrivete a
altragricoltura at italytrading.com
--
No virus found in this outgoing message.
Checked by AVG Free Edition.
Version: 7.1.375 / Virus Database: 267.14.23/240 - Release Date: 25/01/2006