Darfur. L'accordo di pace non porta alla fine delle violenze



Associazione per i popoli minacciati / Comunicato stampa in
www.gfbv.it/2c-stampa/2010/101213it.html

Darfur
L'accordo di pace non porta alla fine delle violenze

Bolzano, Göttingen, 13 dicembre 2010

L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) è estremamente preoccupata per la crescente ondata di violenza e arbitrarietà nel Darfur. Mentre il mondo guarda alle minacce di guerra nel Sud-Sudan nella parte occidentale del paese continua ad aumentare il numero degli arresti arbitrari di attivisti per diritti umani, giornalisti e studenti. Secondo il governo di Karthoum il conflitto nel Darfur è di fatto concluso e la pacificazione sarà siglata entro il 19 dicembre con la firma a Doha (Qatar) di un accordo di pace con il "Movimento per la libertà e la giustizia". Si tratta in realtà di un accordo con un movimento militarmente poco importante che non risolverà la situazione e certamente non eliminerà le cause delle violenze in corso.

Le parti in causa impegnate nelle trattative di Doha sostengono di aver praticamente risolto la maggior parte delle questioni critiche tra la popolazione del Darfur e il governo sudanese ma nella regione del Darfur nulla sembra indicare che il governo sia interessato a una pace reale e duratura. Da gennaio 2010 ad oggi le aggressioni, la violenza e le tensioni tra i diversi gruppi etnici sono aumentate notevolmente e le strategie di pace del governo si scontrano con la disapprovazione della popolazione locale. Contemporaneamente la comunità internazionale sembra essere sorda alle critiche provenienti dal Darfur e punta invece sulle promesse vuote di Karthoum.

Di fatto il Sudan occidentale si trova in una situazione catastrofica. Le minacce e gli arresti arbitrari hanno creato un clima di paura diffusa tra il personale delle organizzazioni non-governative e le persone attendono invano qualche forma di giustizia. Nonostante le promesse il governo finora non ha intrapreso alcun passo per indagare sul massacro di 64 civili commesso lo scorso 2 settembre nel villaggio di Tabra (Darfur settentrionale). Nessuna chiarezza è stata fatta sul destino dei circa 3 milioni di profughi. Molti vorrebbero tornare ai propri villaggi di origine ma il governo non permette il ritorno e tenta di legalizzare la messa in fuga della popolazione e di insediarla attorno ai campi profughi grazie agli aiuti provenienti dai paesi arabi. Degli ingenti aiuti molto poco giunge però alla regione drammaticamente povera, tant'è che lo scorso novembre Mohamed Al Tayeb Tijani, presidente del fondo per la ricostruzione del Darfur, ha accusato il governo sudanese si aver trafugato 760 milioni di dollari di aiuti per il Darfur. Non diminuisce nemmeno la violenza contro le donne e la scorsa settimana si sono registrati altri sei casi di violenza commessa da soldati governativi contro donne e ragazze nei dintorni del campo profughi di Zamzan.

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