Cosa è cambiato dopo Rosarno - Gad Lerner



Cosa è cambiato dopo Rosarno
Gad Lerner
 
Ricorderemo il gennaio 2010 come il mese in cui, per la prima volta, un’intera piana del sud è stata sgomberata di tutti gli uomini con la pelle nera che la popolavano. A prescindere dal fatto che avessero o meno in tasca il permesso di soggiorno, potevano al limite essere pure cittadini italiani, ma era proprio il colore della loro pelle a motivarne l’allontanamento. Trasferiti per proteggerli da un popolo ostile, è la motivazione ipocrita, che regala agli organizzatori delle ronde criminali, armati di fucili e di spranghe, una vittoria sul campo dell’inciviltà.
Seguiranno altre Rosarno, siatene certi, nell’Italia razzista che sei mesi fa ha legalizzato le ronde e ora finge di scandalizzarsi se a metterle in pratica sono i manovali della ‘ndrangheta. Mi indispettisce la condiscendenza di un bel pezzo dei mass media che esitano a denunciare il razzismo dilagante, lo minimizzano come sana reazione della plebe a un’eccessiva presenza di stranieri, la cui sorte peraltro starebbe a cuore solo di una minoranza di privilegiati. L’accanimento degli ultras contro Balotelli, il nero italiano? Colpa dei suoi atteggiamenti provocatori. Una soluzione per il malfunzionamento delle scuole? Tetto del 30% ai bambini stranieri, e pazienza se tale direttiva risulterà inapplicabile nelle periferie metropolitane.
Se la Lega scherza sul “Bianco Natale” e il suo quotidiano esalta il sindaco di Verona sotto il titolo “Tosi fa nero Balotelli”, il doppio senso va preso con simpatia. Ma se invece il presidente della Camera, Gianfranco Fini, raccomanda procedure più rapide e trasparenti per i permessi di soggiorno e la cittadinanza, apriti cielo. Perfino l’acrobata Francesco Rutelli, spericolato nell’attraversamento degli steccati politici, sceglie “Il Giornale” di Feltri per dichiarare che Fini esagera. E la Lega gongola quando gli editorialisti del “Corriere della Sera”, prima Giovanni Sartori e poi Angelo Panebianco, rincarano la dose contro Fini. Macché integrazione, i musulmani resteranno sempre un corpo estraneo alla nostra società (Sartori). Affrontare il tema della cittadinanza significa partire dalla coda anziché dalla testa (Panebianco).
Perfino coloro che dovrebbero rappresentare il punto di vista del liberalismo europeo, alla prova dei fatti, fingono di ignorare che il problema italiano odierno non sono gli insegnanti timorosi di celebrare il Natale (si contano sulle dita di una mano lungo tutta la penisola), bensì i milioni di stranieri lasciati in balia di una legislazione arbitraria, capricciosa nel lasciare vaghi tempi e requisiti dell’integrazione.
Lasciatelo dire a uno come me, approdato in Italia all’età di tre anni, riconosciuto cittadino italiano solo ventisette anni dopo!
Sempre con quella motivazione, il timore di non essere capito dal popolo bue, trattato come un bue, il Partito Democratico ha evitato di varare normative favorevoli all’integrazione quando governava. Nelle file del Pd le attuali proposte di Fini venivano rintuzzate perché troppo audaci. Nel frattempo l’Italia scivolava nella normalità quotidiana dei pogrom (sì, ormai ce n’è almeno uno al giorno), nell’eloquio razzista sdoganato alla tv e sui giornali, nella legislazione discriminatoria.
Non stupisce apprendere, nello Stato che ha tollerato la cacciata di tutti i neri dal paese di Rosarno, che la discussione della legge sulla cittadinanza breve sia stata rinviata a dopo le elezioni regionali di marzo. Per prudenza. Altrimenti chissà che legge ne sarebbe venuta fuori. Forse avrebbero stabilito di togliere il passaporto a tutti quelli come me: italiani per sbaglio?