RE: [africa] Le due follie BARBARA SPINELLI



L'articolo è  molto interessante. Grazie per avercelo inviato.

> Date: Mon, 11 Aug 2008 09:04:57 +0200
> From: lu-sa at clio.it
> To: africa at peacelink.it
> CC: dw-intercultura at yahoogroups.com
> Subject: [africa] Le due follie BARBARA SPINELLI
>
> Le due follie
> BARBARA SPINELLI
>
> Una dichiarazione del Comitato Olimpico Internazionale, diffusa
> all’indomani della guerra fra Georgia e Russia, riassume molto bene
> l’epoca in cui viviamo e lo stato mentale che la caratterizza: stato fatto
> di cecità, ignoranza, stupidità militante, irresponsabilità. «Non è quello
> che il mondo vorrebbe in questo momento vedere», sentenzia a Pechino il
> Comitato, e forse non sa quanto è fedele al vocabolario dominante nei
> governi e nei giornali d’Occidente. Anch’essi non vogliono guardare quel
> che accade e di conseguenza non lo vedono: non da oggi, ma da decenni. Ci
> si dichiara delusi, traditi, come se le Olimpiadi non fossero state questo
> sempre, dalle tirannidi greche antiche fino ai Giochi di Hitler nel ’36:
> un intreccio di bellezza estatica e di brutture, un fascinoso mito
> d’armonia poggiato sul duro pavimento di realtà fratricide. Le Olimpiadi
> sono sempre state un mondo parallelo, e lungo i millenni non hanno mai
> sostituito il mondo effettivo anche se ne hanno raffigurato le illusioni:
> l’umanità naviga triste verso lidi di felicità fittizia nelle odi di
> Pindaro come nella modernità.
>
> Le Olimpiadi del 2008 non sono state infangate. La stupidità umana è un
> fango che precede il mito anche quando se ne nutre, e la caucasica guerra
> estiva lo conferma: non si può neppure escludere che i bellissimi simboli
> d’unità a Pechino siano un’immagine insopportabile per il cuore geloso di
> Mosca, che vede l’impero cinese affermarsi e il proprio degenerare. Al
> momento tuttavia Putin sembra vincente.
>
> La Georgia non pare aver ripreso i territori che ritiene suoi e si ritira,
> Washington che era il principale alleato di Tbilisi cerca di negoziare
> soluzioni Onu accettabili per Putin. Vacilla infine la strategia
> occidentale alle periferie russe: l’incorporazione nella Nato di Georgia e
> Ucraina s’allontana.
>
> Sono quasi vent’anni che non vediamo, non ci prepariamo, non pensiamo
> veramente la fine dell’impero sovietico. Quest’intermezzo era colmo di
> premonizioni ma l’abbiamo traversato con occhi bendati e idee defunte: con
> reminiscenze di Hitler e dei cedimenti democratici del ’38, con lo spirito
> resuscitato del ’14-’18 e dell’autodeterminazione dei popoli. In questi
> anni la mondializzazione ha messo le radici, accelerata da Cina e India,
> ma nessuno strumento è stato apprestato per governarla. L’unica bussola
> resta il predominio unilaterale americano, la sua presenza sempre più
> estesa in zone strategiche ricche di petrolio e gasdotti. L’unica lente
> attraverso cui si guarda il reale è quella dell’equilibrio delle potenze,
> della balance of power che gioca un nazionalismo contro l’altro. Clinton
> non è Bush junior ma il suo atteggiamento, come quello di Bush padre, non
> fu diverso. La fame di controllo sul Caucaso ha accomunato tre presidenze
> Usa, spegnendo i primi passi russi verso il post-nazionalismo e
> accrescendo nei suoi dirigenti il senso di umiliazione, offesa,
> risentimento.
>
> In questa vecchia politica si mescolavano due ideologie. La prima
> immaginava un mercato mondializzato che poteva fare a meno della politica
> proprio mentre si moltiplicavano nel mondo conflitti più che mai politici
> su risorse e petrolio. La guerra in Iraq è stata l’acme del Grande Gioco
> attorno alle risorse, cui si sono aggiunte le interferenze nel Caucaso, la
> Nato usata come gingillo di potenza, le basi militari insediate in Asia
> centrale durante le guerre anti-terrore. La seconda ideologia è il
> nazionalismo etnico, che è riemerso nel pensiero occidentale cancellando
> la lezione di due guerre mondiali catastrofiche. L’aggressione serba
> contro i separatismi jugoslavi è sfociata in una guerra che ha visto
> l’Occidente intervenire a giusto titolo per evitare carneficine ma senza
> idea alcuna sulle società multietniche da ricostruire. I cedimenti mentali
> si sono susseguiti: si cominciò con l’appoggio a nazioni omogenee
> (l’accordo di Dayton suddivise la Bosnia in tre clan etnici) e si finì con
> il beneplacito alla secessione del Kosovo nel 2008. La sconfitta Usa ed
> europea ha inizio allora: se il mondo ragiona come nel ’14, non stupisce
> che anche Putin manipoli le etnie a proprio vantaggio.
>
> Ora ci si indigna tutti sorpresi, ma quel che succede è una logica
> conseguenza di queste resuscitate idee defunte. E non voler vedere serve a
> poco, perché il non-visto esiste pur sempre e non eclissa colpe,
> omissioni, follie che sono di tutti. Non eclissa innanzitutto le colpe del
> Presidente georgiano, al potere dopo la Rivoluzione delle Rose del 2003.
> Il regista Otar Iosseliani, intervistato da La Repubblica, lo chiama «un
> folle, nel senso letterale del termine»: «Siamo nelle mani di un uomo che
> non ha la minima idea di come si governa ed è in preda al suo delirio di
> onnipotenza. È evidente che si è fatto prendere dal panico, abboccando
> alle provocazioni della Russia». Non meno folle è Putin, «anche se molto
> più intelligente»: non vuol rassegnarsi alla perdita dell’Urss, non ha mai
> accettato la sovranità della Georgia. Sono anni che eccita Abkhazia e
> Ossezia del Sud, ai confini georgiani, russificandole. Quasi tutti gli
> osseti del Sud hanno ottenuto in questi anni passaporti da Mosca e da
> Mosca sono tutelati.
>
> Una debole tregua era stata instaurata, ai tempi di Shevardnadze
> presidente georgiano ed ex ministro degli Esteri di Gorbaciov. Truppe di
> interposizione erano state schierate nella regione - sulla base d’un
> accordo russo-georgiano stipulato il 24 giugno ‘92 - composte da russi,
> georgiani, osseti. È questo ordine che il nuovo presidente georgiano ha
> violato, aggredendo l’Ossezia del Sud e ignorando due referendum
> favorevoli all’indipendenza. È probabile non abbia agito da solo, e che
> nella sua follia ci sia del metodo. È il metodo di chi si sente
> spalleggiato, se non istigato. Alle sue spalle c’è un’America che mira a
> un’egemonia senza saperla esercitare; che da anni addestra militari
> georgiani, finanzia il nazionalismo di Tbilisi, promette l’adesione alla
> Nato più per accendere incendi che per spegnerli. È la crescente presenza
> Usa nel Caucaso e in Asia centrale che ha spinto anche il Cremlino alla
> follia. Senza l’appoggio Usa, Saakashvili sarebbe stato meno avventurista.
> Il suo metodo è l’attacco bellicoso, visto come sostituto della politica.
> Nato e Unione Europea sono per lui non strumenti di pacificazione, ma
> attrezzi di guerra.
>
> Infine c’è l’irresponsabilità, vasta, dell’Europa. Sono anni che alle sue
> periferie si guerreggia, e ancora non ha preso forma un pensiero forte,
> convincente per Mosca e le nazioni che per secoli erano nella sfera
> d’influenza russa. Fra l’offerta d’adesione e l’indifferenza c’è il nulla,
> e il continuo tergiversare facilita ogni sorta di provocazioni. Non solo:
> l’adesione è offerta sbadatamente, dimenticando le radici ideali
> dell’Unione. Si appoggia la sovranità georgiana, ma senza spiegare che la
> sovranità in Europa non è più assoluta. Si permette al leader georgiano di
> usare la bandiera europea, e di stravolgerla. Per Saakashvili essa è un
> arma, più che un ponte. La cultura dell’Unione è del tutto assente nel suo
> ragionare, e di simile ignoranza gli europei non sono incolpevoli. A
> Tbilisi come a tanti dirigenti dell’Est non è stato detto che nazionalismo
> e irredentismo non sono più di casa nella comunità europea, né le
> Riconquiste che violano tregue. Putin non è d’accordo ma lui, almeno, non
> sventola la bandiera dell’Unione quando parla. Iosseliani ne è certo:
> «L’esercito georgiano è convinto di poter vincere, perché immagina di
> avere alle spalle la comunità internazionale e perché la comunità
> internazionale lo ha illuso. Così la Georgia si trasformerà in una piazza
> d’armi che si estenderà all’Abkhazia e poi all’Ucraina, e dove si
> combatteranno indirettamente le due superpotenze, Russia e Stati Uniti».
> La guerra è ancora in corso, anche se la sua macchina magari si fermerà un
> po’. Al posto di guida, intanto, c’è la forza di Putin: forza militare,
> forza di ricatto energetico, forza di chi scruta il nostro vuoto e non è
> portato a far altro che profittarne.
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> http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=4882&ID_sezione=&sezione=
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> «E' ora quindi che parliate tutti voi che amate la libertà, tutti voi che
> amate il diritto alla felicità, tutti voi che amate dormire immersi nel
> vostro privato sogno, è ora che parliate o maggioranza muta! Prima che
> arrivino per voi»
>
> Primo Levi
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