Ghandi era un violento? siamo violenti come lui



La nostra arma è il sorriso
 
Giovedì scorso, per la seconda volta, abbiamo occupato la stazione ferroviaria. Violenti, illegali, arroganti, ci hanno definito. Per noi quella era un'iniziativa legittima, pacifica, partecipata. Non staremo a guardare le ruspe che devastano il nostro territorio: questo è il messaggio che abbiamo voluto dare.
 
«Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni.» M. Gandhi

Occupare una stazione ferroviaria è un reato, un atto illegale, un gesto violento; dopo l'iniziativa di tanti vicentini, che così hanno voluto rispondere alla sentenza del Consiglio di Stato, questi sono i contenuti di molti degli articoli della stampa locale e nazionale. Centinaia di persone sorridenti e con le mani alzate diventano così estremisti, oltranzisti della protesta, in alcuni casi violenti agitatori pronti a scatenare tafferugli e scontri. E le forze dell'ordine che, come dimostrano i video realizzati, avanzano verso donne e uomini a mani alzate per manganellare, sono semplici lavoratori: quasi che sferrare bastonate sia come infornare il pane.

Da due anni il movimento vicentino si oppone alla nuova base Usa, chiedendo prima di tutto democrazia; rivendicando il proprio diritto a non esprimere soltanto una testimonianza, ma ad incidere attivamente nella costruzione del futuro della propria città. Di fronte a questa determinazione, lo Stato ha risposto sempre con l'imposizione; prima attraverso l'editto con il quale l'allora Presidente del Consiglio Prodi decretò il via libera ai progetti statunitensi, in questi giorni con la sentenza del Consiglio di Stato che decreta la superiorità degli interessi militari sui diritti, sulla salute e sulla sicurezza dei cittadini.

Non bisogna sottovalutare quanto hanno scritto i giudici nell'atto con il quale demoliscono la sospensiva del Tar del Veneto; certo, dichiarano, le proteste dei vicentini hanno oggettive giustificazioni, ma l'interesse di Stato viene prima: bando alle ciance e finiamola con questa volontà di democrazia, dunque, che la base si deve fare e si farà. La contrarietà di tanti vicentini non ha alcun valore nelle determinazioni degli organi di potere dello Stato italiano. E la stessa consultazione popolare promossa dall'Amministrazione comunale, che pure rappresenta un importante momento di espressione, rischia di divenire un puro atto di testimonianza di fronte alle ruspe delle cooperative aggiudicatrici dell'appalto a cui certo non interessa l'opinione dei vicentini.

Per difendere Vicenza e il suo diritto ad organizzare una consultazione popolare che abbia anche un valore politico, dunque, non basta un comunicato stampa, non bastano mille bandiere, non bastano cento piazze gremite di persone. Perchè a Roma vogliono andare avanti, a qualunque costo. E la sentenza del Consiglio di Stato, nel suo escludere l'opportunità della consultazione popolare, ci dice che essa avrà un significato puramente simbolico se i vicentini non sapranno difenderla con determinazione. In tal senso, la sentenza equivale al si dato da Prodi nel gennaio 2007, quando migliaia di cittadini indignati occuparono per la prima volta i binari dei treni.

Occupare una stazione rallentando il traffico delle merci – perchè nella tarda serata non transitano treni gremiti di pendolari – non è un atto di arroganza, ma un grido di determinazione. Noi non vogliamo esprimere la nostra contrarietà e poi abbassare la testa di fronte all'imposizione. Non vogliamo obbedire a chi pretende di farci tornare, silenziosi, davanti alle televisioni, chiusi nelle nostre case. Ecco perchè, di fronte alla sentenza del Consiglio di Stato, siamo tornati, come il 16 gennaio 2007, sui binari della stazione. Rifiutando di accettare il divieto imposto da chi è chiamato a garantire la sicurezza del futuro cantiere del Dal Molin; opponendoci, con le mani alzate, a chi usa i manganelli per difendere la decisione di realizzare la nuova base Usa. Camminando a viso scoperto, nonostante la minaccia di una pioggia di denunce, perchè rivendichiamo il nostro percorso di opposizione.

Se è violento chi, rifiutando l'imposizione, si contrappone ai manganelli a mani alzate, era violento anche Gandhi, premio Nobel per la Pace e ispiratore di quanti sfoggiano la spilletta della non violenza ad ogni occasione. A costoro, vorremmo ricordare la marcia del sale, la determinazione di tanti indiani nell'opporsi, pacificamente, alla repressione britannica. Come hanno fatto i cittadini che hanno raggiunto, rifiutando la violenza, i binari della stazione, testimoniando che quello vicentino non è un movimento d'opinione, bensì è determinato a raggiungere il proprio obiettivo con ogni strumento pacifico a propria disposizione.

Noi i nostri pensieri li vogliamo trasformare in azione. Non staremo a guardare con una bandiera in mano le ruspe che devastano la nostra terra per costruire una base di guerra: questo è il significato dell'iniziativa dell'altra sera; chi ha orecchie per intendere intenda, chi vuol continuare a puntarci l'indice contro lo faccia pure.
 
 
 


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