L'impegno delle Chiese



L'impegno delle Chiese
per l'unità del Sudan


Khartoum, 2. Tra i continui combattimenti e le crisi umanitarie nelle diverse regioni del Sudan e il rischio di un fallimento nell'attuazione dell'accordo di pace siglato nel 2005, il popolo sudanese e le Chiese locali devono far fronte a "compiti e sfide enormi". È quanto è stato detto a un gruppo internazionale in rappresentanza delle Chiese, giunto nel Paese africano per una visita di solidarietà di otto giorni.
Nei giorni scorsi, nella capitale sudanese, i rappresentanti del Consiglio delle Chiese del Sudan (Scc) hanno incontrato una delegazione guidata dal segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc), il reverendo Samuel Kobia. Il gruppo, che è in visita nella capitale, è uno dei quattro team diretti verso le diverse regioni, tra cui Darfur, Rumbek e Yambio. Tutti loro si sono uniti alle guide delle Chiese in Sudan, alle donne e ai giovani per una conferenza di tre giorni che è appena iniziata a Juba.
La visita ecumenica, che si sta svolgendo verso la metà del periodo di transizione stabilito dall'accordo di pace comprensivo del 2005, "giunge nel momento giusto della storia del Sudan" hanno affermato i responsabili delle Chiese del Sudan, in un messaggio di benvenuto alla delegazione.
"Siamo grati del sostegno morale della famiglia ecumenica che ci ha permesso di sopportare gli assassinii e il trauma durante la guerra", ha affermato il vescovo di Wau, monsignor Rudolf Deng Majak, presidente della Conferenza episcopale del Sudan e presidente del consiglio degli amministratori fiduciari.
L'accordo di pace comprensivo (Cpa) ha posto fine alla guerra tra nord e sud e ha stabilito un governo di unità nazionale.
Secondo la dichiarazione del Scc esso "fornisce la base per una pace giusta e sostenibile" nel Paese. Tuttavia, la piena attuazione rimane una delle principali preoccupazioni delle Chiese in Sudan.
Il reverendo Musa Koda Jura della Church of Christ sudanese e presidente del comitato esecutivo del Scc ha spiegato che diversi indicatori, tra cui la mancanza di trasparenza nel lavoro di alcune commissioni istituite dall'accordo, come pure nella partecipazione agli utili derivanti dal petrolio, segnalano "una lenta attuazione e forse un deragliamento dell'accordo". Ha inoltre aggiunto che "c'è una mancanza di comprensione alla base dell'accordo di pace".
Tra i conflitti armati e le crisi umanitarie che affliggono il Paese quello che colpisce la regione del Darfur occupa un posto di primo piano. Qui il conflitto armato è "una tragedia in se stessa", ma anche una minaccia all'attuazione del Cpa", afferma la dichiarazione del Scc. Se non si risolvono tutti questi conflitti, "non vi sarà una pace giusta per nessuno".
Nel Darfur, purtroppo, è in corso un violentissimo conflitto interno fra gruppi armati locali e milizie filogovernative. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, gli attacchi ai civili e le conseguenze della guerra sulla situazione sanitaria hanno causato la morte di migliaia di persone e hanno ridotto quasi due milioni di persone allo stato di profughi, rifugiati nei campi di accoglienza gestiti dalle organizzazioni umanitarie.
Asaka Nyangara, direttore del Programma alimentare mondiale (Pam) a Nyala, capitale del Sud Darfur, ha dichiarato che a oltre trecentocinquantamila civili del Darfur non arrivano gli aiuti del Pam a causa delle violenze in corso. La stessa agenzia umanitaria dell'Onu già in precedenza aveva denunciato come, a causa del deteriorarsi delle condizioni di sicurezza nel nord della regione sudanese, circa duecentomila persone erano già state tagliate fuori dai flussi umanitari. A questi, recentemente, se ne sono aggiunti altri centosessantamila.
La cooperazione in Darfur, in particolare quella italiana, si concentra nella "mezzaluna" fra le città di Al Geneina e Nyala. Attualmente, sono sei le organizzazioni sul campo che affrontano le situazioni di emergenza:  cinque ong più la Caritas internazionale. Quasi tutte fanno base a Nyala, per assistere la popolazione hanno puntato sul coordinamento degli interventi. In effetti, in un contesto così difficile come quello del Darfur, un territorio vasto e pieno di insidie, lavorare insieme diventa vitale anche per la sicurezza dei cooperanti.
Anche laddove le armi ormai tacciono, i "dividendi di pace", però, ancora "non si vedono". La mancanza di strutture sanitarie, scuole e acqua potabile sono alcune delle questioni più pressanti.
Tra le persone maggiormente colpite vi sono quanti rientrano, ossia le persone sfollate internamente a causa della guerra, talvolta per molti anni, che ora ritornano alle loro regioni di origine.
"Le condizioni nelle aree in cui si recano per ristabilirsi possono essere addirittura terribili, per cui alcuni di loro stanno pensando di ritornare nelle aree in cui si erano rifugiati", ha detto il reverendo Peter Tibi della Africa Inland Church, segretario generale del Scc.
La dichiarazione del Scc riconosce "in molti posti la mancanza di capacità" delle Chiese di svolgere i loro "molteplici compiti". Riconosce anche che le Chiese non sono immuni ai problemi del tribalismo che affliggono il Paese.
Il segretario generale del Wcc ha incoraggiato le Chiese del Sudan a meditare al più presto un "piano strategico ecumenico per contribuire alla ricostruzione del Paese africano".
L'educazione civica sull'accordo di pace comprensiva potrebbe far parte di tale piano.


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