Maria Bonino



Morire d'Africa: volontaria italiana uccisa dal virus che fa strage in Angola
di Toni Fontana

 Di persone come Maria Bonino, sepolta sabato a Luanda, capitale dell’Angola, ci si accorge solo quando muoiono. Così è accaduto per Annalena Tonelli, uccisa in Somalia nell’ottobre 2003. Come tanti missionari che, col tempo, diventano tuttuno con il continente, l’ultima volontà della pediatra italiana è stata quelle di essere sepolta in Africa. Maria e Annalena erano donne «silenziose», non cercavano pubblicità, non inseguivano i riflettori; dire che «ha dato la vita per l’Africa» appare oggi scontato e quasi rituale. Forse, per rendere omaggio a questa pediatra italiana di 51 anni che sabato è stata sepolta in un cimitero angolano, è opportuno ricordare perché e dove è finita la sua vita.

In Africa da più di 10 anni, dunque da quando era appena quarantenne, Maria Bonino ha lavorato in Burkina Faso, Tanzania e Uganda. I medici del Cuamm (Collegio Universitario aspiranti medici missionari) sono sempre tra i primi a raggiungere le emergenze che in Africa non mancano mai. In Ruanda hanno curato i bambini sopravvissuti al genocidio del 1994, in Angola operano nell’ospedale della provincia nord-occidentale dell’Urige. Quando Maria Bonino ha accolto i bambini che perdevano sangue e vomitavano non si è tirata indietro e li ha curati. Per questo ha contratto il virus di Marburg che, in pochi giorni, ha ucciso in Angola 119 persone, in massima parte bambini.

La malattia, simile al virus Ebola che fece strage in Congo alcuni anni fa, si propaga attraverso i fluidi delle persone contagiate. L’Oms (organizzazione mondiale della Sanità) spiega che tre quarti delle vittime del virus sono bambini al di sotto dei cinque anni. Marburg è una città tedesca dove, nel 1967, venne per la prima volta isolato il virus. I tecnici di un laboratorio vennero colti da una forte febbre emorragica dopo aver toccato alcune scimmie catturate in Uganda.

In Angola il virus potrebbe fare strage tra i bambini delle province occidentali. I medici italiani rimasti nell’Urige (nell’ospedale ne sono rimasti sette) allargano le braccia e dicono «siamo rimasti soli». Mancano guanti, mascherine, tute di protezione e farmaci. Medici senza frontiere ha inviato un team composto da 12 persone con attrezzature, ma ancora non basta. Come è accaduto con l’epidemia del virus Ebola la strage dei bambini rischia di suscitare una breve e superficiale emozione nelle opinioni pubbliche dell’Occidente e poi sparire, essere dimenticata perché notizie come questa «fanno paura», anche per i problemi che nascondono. Informazioni come quelle che riguardano il virus di Marburg vengono «rimosse in fretta ed esorcizzate» - sostiene Carlo Carbone, storico africanista - «perchè mettono a nudo l’incapacità per noi europei di dare risposte ai veri problemi che si celano dietro le emergenze, e cioè l’alto costo delle terapie, l’impossibilità di avviare iniziative di prevenzione».

I virus di Ebola e di Marburg, sono malattie insidiose che attecchiscono non a caso i Africa perchè povertà e sottosviluppo, rappresentano un ottimo terreno di coltura. «Quando mancano le strutture di base, quando le guerre seminano morte e devastazione - sottolinea Mariano Benni, direttore di Misna - si creano le condizioni, anche “psicologiche”, per l’esplosione delle epidemie, si crea un effetto “psicosomatico”». E l’Angola sa cosa vuole dire la guerra. Ribelli e governativi si sono sono combattuti per lunghi anni (1975-2002); quando la pace sembrava a portata di mano il governo ha spedito le truppe nella prima guerra «continentale» in Congo. Il paese è ricchissimo di materie prime, petrolio e diamanti, ma figura al 166° posto su 177 paesi del pianeta. L’aspettativa di vita non supera i 40 anni. L’epidemia del virus di Marburg rischia di fare strage tra i bambini ed abbassare ulteriormente l’aspettativa di vita nel paese africano. La morte di Maria Bonino ricorda che solo pochi medici sono in prima linea sul «fronte» di Luanda.

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